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Armena, architettura

Sommario: 1. Origini e diffusione2. Tipi edilizi3. SviluppiBibliografia

1. Origini e diffusione

Il territorio dell’Armenia storica era più vasto di quello della odierna Repubblica di Armenia (ex URSS), e popolazioni armene occupavano, e occupano ancora in parte, territori della Anatolia Orientale (oggi Turchia) e dell’Iran nord-occidentale. Il paese, nella sua travagliata storia, ha conosciuto la spartizione tra l’Impero Romano e l’Impero Sasanide nel 387, le conquiste di Arabi, nel VII secolo, di Turchi, nell’XI e, ancora più tardi, di Persiani, riuscendo a conservare, ciò non ostante, una sua identità forgiata sul Cristianesimo, e sulla lingua, dotata di un alfabeto dall’inizio del V secolo.

La storia dell’architettura armena si può tracciare con una certa accuratezza, a partire da un’epoca che corrisponde a quella paleo-cristiana. Di tutto il periodo precedente, storicamente ben documentato, restano solo testimonianze archeologiche tranne il tempio di Garni, edificato nella seconda metà del I secolo d. C. Di tipo romano-ellenistico, ionico, periptero, esastilo, su di un alto podio di nove gradini, dalla accurata decorazione, sfuggito alle distruzioni sistematiche dei templi pagani, si è conservato quasi integro (anche se soggetto ad anastilosi negli anni ’70 del XX secolo). L’eccezionale corpus delle chiese armene, dal V al XIX secolo, rappresenta una tale schiacciante maggioranza nell’ambito degli edifici conservati, che si può parlare, sostanzialmente, di architettura armena cristiana.

Palazzi, castelli, caravanserragli e ponti, sopravvissuti in numero ridotto, documentano, comunque, lo sviluppo della vita civile ed economica del paese in epoca medievale e post-medievale.

La precoce e profonda diffusione del Cristianesimo in Armenia, adottato come religione di stato agli inizi del IV secolo, ha determinato la necessità di luoghi di culto idonei, e le chiese hanno sostituito, costruite spesso nello stesso luogo, i templi pagani. Alcune costanti dell’architettura armena vanno subito individuate, come segni di una precisa ricerca di continuità e di identità. La varietà planimetrica differenzia quasi ogni edificio: varietà nella sostanziale omogeneità del materiale, la pietra tufacea locale, tendente generalmente al grigio scuro, pur nelle sue diverse sfumature. Varietà di chiese longitudinali a una o a tre navate, basilicali, centrali a cupola, longitudinali a cupola, a sala cupolata e, soprattutto, di basiliche cupolate, specificatamente armene.

2. Tipi edilizi

Nel corso dei secoli alcuni tipi di pianta si fisseranno, ravvivati da una abbondanza di sottotipi, rendendo le chiese, conventuali e non, nettamente riconoscibili, simboli di armenità nel paesaggio stesso, insieme alla onnipresente Croce. A questa varietà planimetrica si aggiunge la ricchezza delle coperture, dalle prevalenti volte a botte, alle cupole su muri d’ambito, a quelle su pilastri liberi o addossati, alle cupole a padiglione, decoratissime. Risalta l’apparente dicotomia tra volumetria esterna e articolazione interna, quasi che l’architetto, quasi sempre un religioso, avesse voluto creare un duplice linguaggio simbolico.

La rigorosa sobrietà delle spoglie superfici esterne, sulle quali la decorazione scolpita, ancor più che misurata – con l’eccezione della chiesa di Surb Khac, dell’inizio del X secolo, su di una isoletta nel Lago Van – sottolinea alcuni particolari architettonici. Un processo evolutivo appare evidente dalle primitive cappelle uninavate, absidate, di ridotte dimensioni, alle più impegnative costruzioni basilicali, di tipo orientale, con volte in pietra di Surb Xac (Santa Croce) ad Aparan (V secolo), di Ereruk (V-VI secolo, accostabile alla produzione della Siria), di Tsitsernavank (V-VI secolo), della chiesa detta Ciranavor di Ashtarak (VI secolo), e di Eghvard (VII secolo).

Il tipo a sala cupolata, anche di ampie proporzioni, trova nella chiesa di Ptghni (VI-VII secolo) e in quella di Aruc (VII secolo) la sua migliore espressione. Il più longevo dei tipi planimetrici appare senz’altro quello della basilica cupolata: dalla basilica di Tekor, cui fu aggiunta, alla fine del V secolo, una cupola, a S. Gayanè di Ejmiacin della prima metà del VII secolo, alle imponenti Cattedrali di Mren, di T’alin e di Ojun (tutte del VII secolo), fino a una ripresa, sistematica e diffusissima, soprattutto dal XVII secolo. La sperimentazione del VII secolo porta a realizzare nuovi tipi a pianta centrale complessa, cupolati, quasi sempre senza pilastri, dalle numerose varianti, destinati, però, ad avere ben pochi epigoni. La più antica Cattedrale di Ejmiacin, ormai illeggibile sotto la coltre delle ricostruzioni, l’armonica S. Hovhannes di Mastara, la elaborata ed imponente S. Hrip’sime di Ejmiacin, S. Hovhannes di Sisavan, sobrie nell’insieme, si differenziano da impianti assai più impegnativi, come quello di Zvart’noc, presso Ejmiacin, del 642-662, crollato per un terremoto dopo pochi secoli, e quello, poi alterato, di Banak.

3. Sviluppi

Dopo un periodo di stasi si assiste, dall’XI secolo in poi, ad una straordinaria fioritura di complessi conventuali, nei quali alla chiesa principale viene generalmente anteposto un edificio tipico dell’architettura armena, il gavit‘. Di pianta quasi sempre tendente al quadrato, di minore altezza della chiesa, spesso di maggior larghezza, privo di cupola, con coperture spesso piatte, assai decorate, rette in molti casi da due o quattro pilastri, questo ambiente non aveva funzioni cultuali, ma veniva utilizzato per le sepolture delle famiglie dei feudatari, e per il disbrigo delle pratiche amministrative ed economiche relative ai beni del convento stesso.

Le chiese di questi complessi, diffusi per tutta l’Armenia e assai ben conservati nella parte nord-orientale del paese, ripetono iconografie già note, privilegiando, nelle volumetrie, alti tamburi cilindrici, con coperture coniche o ad ombrello. Notevoli, tra gli altri, nel nord del paese, Halbat e Sanahin (entrambi del X-XIII secolo), nelle zone più orientali, Dadivank’ (XII-XIII secolo) e Ganjasar (XIII secolo), a sud, Tat’ev (X-XIII), e nelle zone centrali dell’odierna Repubblica d’Armenia, dove si è conservata la massima concentrazione di questi complessi: Marmasen (X-XI secolo), Kecaris, Halarcin, Gosavank (tutti del XI-XIII, secolo), Salmosavank e Gelard, semirupestre (del XIII secolo), fino a Noravank’ Amaghu forse il più decorato di tutti, ricchissimo complesso funerario del XIII-XIV secolo.

Non si può non accennare ad Ani, una delle capitali dell’Armenia medievali, oggi in Turchia, paragonabile a una Pompei medievale, straordinaria per l’abbondanza e la ricchezza decorativa delle sue chiese, dei suoi conventi e dei suoi palazzi, risalenti in prevalenza al X-XIII secolo.

Nel periodo che va dal XV al XIX secolo, definito tardo, rifacimenti di chiese e di conventi si alternano a numerose costruzioni nuove, soprattutto nelle zone più periferiche (oggi in Azerbaigian e in Iran, ma anche in Turchia), che rivelano, però, un certo inaridimento della fantasia degli architetti, ormai fissati su stilemi planimetrici e volumetrici ripetitivi. Dal 1991 in poi, nel solco della tradizione, senza cedimenti ad innovazioni, diverse chiese sono state realizzate nella Repubblica d’Armenia, prima fra tutte la nuova Cattedrale di Erevan.

Bibliografia

AA.VV., Documenti di architettura armena, Milano 1968-1998;  Casnati G. (a cura di), Ricerca sull’architettura armena, Milano 1970-2005; Cuneo P. et aliiArchitettura armena dal quarto al diciannovesimo secolo, Roma 1988; Der Nersessian S., L’art arménien, Paris 1977; Maranci C., Medieval Armenian Architecture: Construction of Race and Nation, Leuven 2001; Strzygowski J., Die Baukunst der Armenier und Europa, Wien 1918;  Thierry J. M., Monuments arméniens de Haute-Arménie, Paris 2005; Thierry J. M., L’Arménie au Moyen Age. Les hommes et les monuments, Paris 2000; Thierry J. M., Donabédian P., Les arts arméniens, Paris 1987; Sasano S. (a cura di), The Armenian Architecture in the Transitional Period, Sasano Seminar, Yokohama 2005.

 

 

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