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Legno lamellare

Prodotto brevettato nel 1906 da Otto Hetzer, presentato nel 1910 all’Esposizione di Bruxelles, si diffonde rapidamente prima in Svizzera e successivamente negli Stati Uniti.

In Italia viene sperimentato agli inizi degli anni ‘30 fino ad avere una produzione corrente negli anni ‘60. Si ricava dalla riduzione dei tronchi (di abete e pino, douglas, eucalipti ecc.) in piccole lamelle di sezione massima 30 x 200 mm che vengono essiccate, private di eventuali difetti e giuntate a pettine prima della piallatura.

Successivamente, si procede al loro incollaggio con spalmatura a pioggia di colla a base di urea formaldeide, sovrapposizione, pressatura, profilatura, impregnazione e/o verniciatura dell’elemento finito. Rispetto al legno massiccio il legno lamellare offre maggiore stabilità dimensionale, omogeneità e leggerezza degli elementi e rappresenta una valida alternativa rispetto agli altri materiali strutturali, consentendo di superare i limiti dimensionali del tronco con elementi che raggiungono i 150 m. È adatto per la realizzazione di strutture in zone sismiche (assorbe energia senza collassare) e ha un modulo di elasticità longitudinale parallelo alle fibre pari ad E=11.000 N/mm2.

Ha buona resistenza al fuoco grazie allo strato protettivo di carbone che si forma sulla sua superficie, il quale ne ritarda la combustione. Al contrario del c.a. e del metallo, non crea ponti termici e fenomeni di condensa. È impiegato nella realizzazione di elementi per strutture verticali e orizzontali, serramenti, pannelli di tamponamento.

Bibliografia

Ferrante T. (a cura di), Legno e innovazione, Firenze, 2008; Giachino D.M., Legno. Manuale per progettare in Italia, Torino 2013.

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