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Minimo intervento

Definizione

Minimo intervento, reversibilità, compatibilità, distinguibilità e attualità espressiva sono principi concepiti per orientare le logiche dell’intervento di restauro; il primo, in particolare, deriva dalla necessità di contenere le trasformazioni – soprattutto di ordine materiale e strutturale – che possono essere prodotte su edifici di valore storico-artistico.

Generalità

L’opportunità di alterare il meno possibile l’opera d’arte autentica, già espressa in campo pittorico a partire dal XVII e XVIII secolo, è stata ampliamente argomentata, con riferimento all’architettura, dal critico inglese John Ruskin che, nel 1849, pur senza formulare un rigido assioma, reclamava il massimo contenimento delle opere di restauro per garantire la maggiore permanenza materiale dell’opera.
Pienamente acquisito dalle teorie del restauro tardo-ottocentesche e della prima metà del Novecento, il concetto di minimo intervento ha particolarmente orientato, a partire dagli anni ’60-‘70 del XX secolo, la ricerca scientifica, mentre è stato contestato dai tardi fautori del restauro di ripristino e da alcuni progettisti del nuovo, entrambi indifferenti alla persistenza del dato materiale delle fabbriche antiche.
La complessità dell’architettura pone al restauro problemi diversi e articolati fra loro, tali da richiedere una soglia di ‘minimo intervento’ di volta in volta calibrata sulla specifica realtà considerata e sugli effetti che l’opera di conservazione determina a molteplici livelli (materiale, strutturale, figurativo ecc.).
L’attenzione al rispetto del principio del minimo intervento, lungi da porsi quale scenario ‘minore’ e rinunciatario della creatività nel restauro, ha viceversa ispirato numerosi interventi significativi, come quelli condotti sul Colosseo all’inizio dell’Ottocento o, più di recente, nel complesso dei Mercati Traianei a Roma e nella Torre di Pisa.

Bibliografia

Il Minimo Intervento nel Restauro, atti del convegno (Siena, 18/19 giugno 2004), Firenze 2004.

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