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Zonizzazione

Roma, Piano Regolatore Comunale del 1931, tavola di zonizzazione.
Roma, Piano Regolatore Comunale del 1931, tavola di zonizzazione.

Definizione – Etimologia

Dall’ingl. zoning, derivato dal gr. ζώνη: cintura, fascia, è lo strumento tecnico-amministrativo utilizzato nella pianificazione urbanistica e territoriale per disciplinare gli usi del territorio; consiste nell’attribuire al suolo, tramite un determinato perimetro disegnato su base cartografica o anche catastale, una specificata destinazione d’uso e di trasformazione corrispondenti ad una precisa norma scritta e vincolante.

Sviluppi storici

La zonizzazione nasce in Germania, nella seconda metà dell’Ottocento, come strumento tecnico, di supporto al regolamento edilizio, volto a normalizzare il fenomeno dell’urbanesimo esploso con la rivoluzione industriale. Tramite la zonizzazione vengono definite, per ciascuna parte di città, usi e funzioni ammissibili nonché indicazioni sulle precise tipologie edilizie da utilizzare, in modo da regolarne la densità e far fronte, così, a problemi di natura igienica e sociale.

Francoforte sul Meno è la prima città a dotarsi di un vero piano di zonizzazione (1891), completo ed esauriente, che riguarda l’intero territorio comunale e tutti i settori dell’attività edilizia e che, pur, non mettendo in discussione la crescita inarrestabile della città, controlla e garantisce la rendita fondiari. Dalla Germania la zonizzazione viene esportata dapprima negli Stati Uniti, dove divenne strumento giuridico autonomo di controllo complessivo dell’uso del suolo (“Zoning Ordinance”, New York, 1916), e poi in Inghilterra e Russia.

In Italia viene applicata per la prima volta nei piani regolatori di Firenze (1865), di Milano e di Napoli (entrambi del 1885). È tra le due guerre, tuttavia, che la tecnica della zonizzazione si diffonde in tutti i paesi europei, grazie anche ad un periodo di sperimentazione intensa nelle città coloniali d’oltremare (come, ad esempio, il Piano di estensione di Casablanca, 1915-1917, che applica tre diversi concetti di zoning: morfologico, funzionale ed etnico), divenendo strumento fondamentale nei documenti di pianificazione urbanistica, come dimostrato anche dal suo inserimento nel “Town Planning Act” inglese nel 1909.

Fra gli anni Venti e Trenta, congressi, saggi, riviste, manuali e applicazioni concrete di piani e regolamenti si moltiplicano dovunque e fanno sì che la zonizzazione entri a pieno titolo nel dibattito suscitato dal Movimento Moderno. Nel 1928, a La Sarraz, si tiene il primo dei Congressi Internazionali di Architettura Moderna (CIAM); fra i protagonisti, Le Corbusier insiste sulla centralità di una triade di funzioni cui la macchina-città deve rispondere: abitare, lavorare, ricrearsi. A queste funzioni (non più usi, dunque) l’urbanistica deve rispondere con i suoi mezzi – zonizzazione, disciplina del traffico, legislazione – organizzandone le interrelazioni in base alla densità della popolazione, determinata dalla pianificazione.

Nel 1933, nel IV Congresso questi principi vengono codificati nella cosiddetta Carta di Atene e la zonizzazione è definita come “quella operazione fatta sulla pianta di una città al fine di assegnare ad ogni individuo il suo giusto posto. Essa si basa sulla necessaria discriminazione fra le diverse attività umane che richiedono ognuna il proprio spazio particolare: locali per l’abitazione, centri industriali o commerciali, sale o spazi aperti destinati allo svago” (Di Biagi, 1998). Ne consegue un ruolo non più solo di carattere giuridico-legale, ma anche progettuale-funzionale, come nel piano redatto da Coor van Esteeren, nel 1936, per la città di Amsterdam.

In Italia il tema trova ampio spazio nel I Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) del 1937, attivando un vivace dibattito scientifico che porterà, nel 1942, alla stesura della prima “legge urbanistica” nazionale (l. 1150/1942), espressione più alta di quello spirito “modernista” che animava anche l’Italia di quegli anni. Tuttavia la zonizzazione aveva trovato la sua applicazione già prima del Congresso dell’INU con il Piano Regolatore Generale di Roma (PRG) del 1931, lo strumento che in qualche maniera costituirà il banco di prova proprio per la stesura di tale legge. Sebbene tale piano non sia caratterizzato da una articolata distinzione funzionale delle zone, tuttavia costituisce un interessante esempio di “zonizzazione morfologica” derivante da una complessa divisione delle zone residenziali sulla base delle tipologie edilizie da realizzare.

La legge del 17.08.1942, n. 1150 affida al PRG il compito di “indicare la divisione dell’intero territorio comunale in zone con la precisazione di quelle destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da conservare in ciascuna zona (…) nonché gli spazi riservati a servizi e attrezzature” (art. 7, co. 2).

I piani elaborati negli anni a seguire, in parte disattendono tali indicazioni, limitando la zonizzazione al solo territorio urbano, indicando densità elevatissime nelle aree centrali e di fatto relegandola a strumento di supporto dei Piani di Ricostruzione, privandola così della sua valenza funzionale. Nel 1967, dopo molti anni di ulteriore dibattito politico e tecnico, la cosiddetta legge-ponte (l. 765/1967) introduce per i PRG l’obbligo di suddividere il territorio comunale in Zone Territoriali Omogenee (Z.T.O.). L’elenco di queste zone, definito per legge e a livello nazionale, è contenuto nel d.m. 1444/1968, che fissa anche i valori dei limiti introdotti dalla legge-ponte per quanto riguarda gli indici e gli standard urbanistici (standard urbanistici).

Con tale decreto si sancisce definitivamente il legame tra zonizzazione e dimensionamento del piano, in base alla quantificazione dei bisogni (spazi riservati alle attività collettive, verde pubblico, parcheggi) e al ruolo della destinazione d’uso dei suoli ai fini dell’edificabilità (residenziale, industriale, produttivo, servizi). Inoltre, costituisce una sorta di “descrizione convenzionale” della città (Avarello, 2000) in tre fasce tendenzialmente concentriche: il centro storico (zona A); la prima fascia di urbanizzazione consolidata (zona B); le aree periferiche di espansione (zona C). A queste fanno seguito, con caratteristiche più funzionali: le aree per l’industria, l’artigianato e le attività produttive (zone D); le aree per l’agricoltura (zone E) e gli spazi destinati ad attrezzature di interesse generale (zone F). Tale suddivisione diventa più articolata e complessa quando riferita a grandi nuclei urbani, come nel caso del PRG di Roma (1962) e di quello di Milano (1979).

Contemporaneamente al riconoscimento della tecnica di azzonamento quale strumento “obbligatorio” per l’organizzazione della città, si diffonde anche una certa diffidenza sulla sua reale efficacia, riconoscendosi una certa rigidità sia nelle prescrizioni che nel disegno dello sviluppo urbano. Con la crisi industriale agli inizi degli anni Novanta, molti insediamenti produttivi, situati in zone ormai centrali, vengono dismessi, lasciando inutilizzate volumetrie esistenti e creando dei “vuoti” all’interno dei tessuti urbani. La zonizzazione, con la sua schematizzazione della città e fissità delle relazioni fra le parti, appare, pertanto, un metodo parzialmente se non totalmente obsoleto di fronte a tali esigenze di riconversione e rigenerazione. Da qui il maturare di nuove esperienze e sperimentazioni che, pur mantenendo la possibilità/necessità di definire aree, perimetri ed ambiti all’interno dei Piani, riescono tuttavia a superare la monofunzionalità, promuovendo l’integrazione fra funzioni e attività diverse, capaci di coesistere non solo all’interno delle stesse zone ma addirittura degli stessi edifici. Si abbandona la vecchia classificazione imposta dal d.m. 1444/68 a favore di un’altra più complessa, capace di descrivere caratteri fisici (tipologici e/o morfologici) e funzionali (economici e/o sociali) dei tessuti insediativi esistenti, individuandone il diverso grado di “consolidamento”, nonché di “trasformabilità”, e su cui delineare una normativa tecnica in grado di governarne, caso per caso, le modalità d’intervento fisico e le destinazioni d’uso ammissibili.

Da queste considerazioni nascono i cosiddetti piani a “due velocità”, costituiti da una parte strutturante, coincidente con la città esistente, in cui vengono date poche indicazioni essenziali, ad esempio, rispetto alle zone naturalistiche, le zone strategiche d’intervento o le zone storiche intangibili, ed un’altra operativa, in cui vengono assegnate regole più dettagliate a quelle zone in trasformazione che non rivestono carattere strategico, e che si attuano in modo diffuso all’interno delle zone edificate. La zonizzazione diventa così l’esito di approfondite analisi, che tengono conto non solo degli aspetti tipo-morfologici, ma anche di quelli paesaggistici ambientali, infrastrutturali nonché di una serie di indicatori economici e sociali che ne delineano i livelli qualitativi e quantitativi. Il Nuovo Piano Regolatore di Roma (2008) è uno dei primi a presentare una zonizzazione di tale natura che, in parte, riprende alcuni principi della pianificazione strategica europea. È importante ricordare come la zonizzazione, pur essendo stata originata da esigenze prettamente urbane, abbia trovato ampio utilizzo, seppur con contenuti e finalità differenti, in altri strumenti urbanistici quali quelli di “area vasta”, come ad esempio i Piani territoriali regionali o provinciali, i Piani paesaggistici nonché in alcuni piani di settore principalmente di natura ambientale, come nel caso del Piano di zonizzazione acustica.

Tecnica di zonizzazione

Da un punto di vista giuridico la zonizzazione è intesa come strumento limitativo del diritto privato di proprietà, in nome di un interesse collettivo. L’applicazione di tale principio può generare problemi di “sperequazione” tra proprietà diverse nel momento pianificatorio di attribuzione ai suoli delle destinazioni urbanistiche (zone destinate a servizi o attrezzature per la collettività, non redditizie, e zone invece destinate alla residenza o ad attività private di altra natura, redditizie).

Da un punto di vista tecnico-operativo può avere, invece, una doppia accezione: “funzionale” e “morfologica”. La zonizzazione funzionale è principalmente legata al controllo della densità urbana e consiste nella divisione di un territorio in un certo numero di zone alle quali vengono assegnati parametri che ne regolano l’edificazione e riguardano nello specifico: l’”uso”, la funzione cui ciascuna porzione di suolo deve essere destinata (residenziale, produttiva, ricreativa, di servizio) in base alle esigenze localizzative e alle scelte del piano stesso; la “densità”, intesa come quantità di volume che è possibile realizzare in ciascuna zona in rapporto all’estensione delle aree (ricavabile attraverso gli indici e le superfici); l’”altezza” massima degli edifici che saranno realizzati; i rapporti percentuali tra usi diversi nonché gli “standard”, ovvero l’attribuzione a ciascun uso di alcune dotazioni necessarie al suo corretto svolgimento e alla qualità del contesto urbano interessato (parcheggi, verde, spazi pubblici).

Inoltre, per ciascuna zona vengono date prescrizioni sulle tipologie d’intervento ammissibili (manutenzione, recupero, ricostruzione, nuova edificazione) a seconda del tessuto edilizio esistente nonché della presenza o meno di altre emergenze di natura paesistico-ambientale o storico-culturale.

A partire dagli anni Novanta la zonizzazione ha assunto un’accezione negativa in quanto imputata di sostenere eccessivamente la rendita urbana e di creare, mediante una rigida applicazione del principio di monofunzionalità, situazioni di utilizzo del suolo che spezzano la continuità e la varietà della vita urbana, producendo contesti di degrado e segregazione sociale. Probabilmente in queste critiche eccessiva risulta la sopravvalutazione di quello che in fondo è semplicemente uno strumento tecnico, mentre poco viene detto sul ruolo ricoperto da decisori pubblici e progettisti e sulla loro capacità (o non volontà), in alcuni casi, di costruire un’idea nuova di “città”, basata sull’interpretazione simultanea di quei fenomeni, economici e sociali, capaci di influenzarne le dinamiche evolutive.

Va aggiunto, inoltre, che la zonizzazione non può essere concepita solo in chiave strettamente funzionale, in quanto, per ciascuna zona individuata, in aggiunta alle funzioni, possono essere assegnate caratteristiche in merito alla tipologia edilizia e alla forma stessa dell’edificato. In tal caso si può parlare di zonizzazione morfologica e questa può interessare sia parti del territorio urbano che singoli tessuti, sia la trasformazione dei tessuti esistenti che la progettazione delle aree di trasformazione o di nuova urbanizzazione, nella prospettiva di una lettura interpretativa della città come ”spazio articolato e complesso” che si contrappone a quello “bidimensionale discontinuo” di alcuni piani del passato. In una zonizzazione di tale natura, il fattore dominante è la collocazione dei luoghi pubblici (sia come spazi aperti ma come attrezzature per servizi pubblici) che costituiranno l’ossatura intorno a cui costruire i nuovi tessuti, ovvero l’impianto urbano (Piroddi, 2008). È anche vero anche che il concetto di zonizzazione sia radicato in quello di città stessa: “gli organismi urbani che si sono formati senza un piano regolatore a priori, hanno finito istintivamente con il concludersi in qualche modo in un quadro, almeno embrionalmente, scompartito e funzionante in zone sia pure identificate a posteriori e perciò funzionanti in maniera imperfetta ossia inorganicamente” (Piccinato, 1947).

Bibliografia

Avarello P., Il Piano comunale, evoluzione e tendenze, Milano, 2000; Borri D., Lessico urbanistico, annotato e figurato, Roma, 1985; Calabi D., Storia dell’urbanistica europea, Milano, 2000; Di Biagi P. (a cura), La Carta di Atene. Manifesto e frammento dell’urbanistica moderna, Roma, 1998; Mancuso F., Le vicende dello zoning, Milano, 1978; Piccinato L., voce Zonizzazione, in Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, Roma, 1969; Piccinato L., La progettazione urbanistica, la città come organismo, Venezia, 1988; Piroddi E., Zonizzazione, in Mattogno C. (a cura), Ventuno parole per l’urbanistica, Roma, 2008.

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