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Facciata

02 | Facciata | Storia

Definizione – Etimologia

Struttura esterna, faccia (dal latino facies) di un edificio, corrispondente a un lato del suo perimetro; coincidente col termine fronte solo quando riferito a un edificio ma non con quello di prospetto (dal latino prospicere), che ne è la rappresentazione in proiezione ortogonale. Generalmente il lato libero più agevolmente visibile e accessibile, contenente l’ingresso (facciata principale, o semplicemente facciata). Gli altri lati dell’edificio si dicono facciata laterale, facciata posteriore.

Generalità

Può essere considerata in termini compositivi (es. facciata tripartita), stilistici (es. facciata gotica, rinascimentale), materici (es. facciata marmorea, lapidea) o tecnologico-strutturali (es. facciata ventilata). A volte costruita dopo il resto dell’edificio, può rifletterne spazialità e struttura interna o essere un corpo autonomo per materiali, costruzione, ritmo, articolazione e decorazione. Può assumere la forma ‘a capanna’ determinata dalle capriate di copertura; ‘a salienti’ se affiancata da spioventi più bassi, in corrispondenza delle navatelle. Quando la sua superficie è più alta dell’edificio retrostante dicesi ‘a vento’ (S. Michele, Pavia). Nelle chiese a sala o a nave unica può avere terminazione rettilinea. Può configurarsi come quinta urbana, fondale prospettico di un asse viario (palazzo Farnese, Caprarola) o definizione di una piazza (piazza S. Ignazio, Roma).

Nell’architettura orientale, greca, romana, tardo-antica e in parte in quella medievale, è parte integrante dell’organismo architettonico ed è considerata soprattutto nell’ambito dell’architettura di culto. A partire dal ‘400, può rivestire valore autonomo rispetto all’edificio, sia strutturalmente (S. Francesco, Rimini; Basilica di Vicenza), sia rispetto alla distribuzione interna (S. Maria dei Sette dolori, Roma). Nello stesso periodo assume maggiore importanza anche nell’architettura residenziale. Può configurarsi come un diaframma anteposto a un fabbricato la cui articolazione è del tutto autonoma (facciata cieca) o, pur essendo strutturalmente connessa al corpo retrostante, venire decorata con scene storiche o religiose, forme architettoniche, geometriche, naturalistiche (facciata dipinta).

A fine ‘800 cresce la dicotomia tra facciata, spesso rispondente a canoni classicisti, e organismo strutturale, sempre più legato alla diffusione di nuovi materiali e tecnologie costruttive (Opéra, Parigi). Con le Avanguardie e l’esperienza della Bauhaus si riafferma il concetto di corrispondenza tra spazio interno ed esterno, organismo e facciata, chiamata a esprimere nei materiali, nella costruzione e nell’articolazione la spazialità e le funzioni interne.

Nel corso del ‘900 l’uso di tecnologie e materiali nuovi porta anche alla realizzazione di facciate di tamponamento, ancorate alla struttura retrostante. È il caso della facciata continua o curtain wall (letteralmente ‘barriera muro’), dove l’articolazione e la disposizione delle bucature sono indipendenti dalla struttura portante. Questo processo modifica anche la gerarchia tra i diversi lati dell’involucro, portando spesso alla perdita del concetto di facciata principale. Nel caso di complesse articolazioni volumetriche o di continuità delle superfici curve si rivela impossibile individuare una facciata (es. museo Guggenheim, Bilbao).

Tipi e problematiche

La stretta connessione esistente tra l’organismo architettonico e il suo involucro ha dato esito a ricerche diverse nel corso dei secoli, evidenziando differenze tra le culture orientale e occidentale, tra l’architettura di culto e civile.

Architettura di culto

Nell’architettura buddista, i templi stupa sono caratterizzati da un impianto centrale con simmetria radiale (Grande Stupa, Sanchi, India), con un asse privilegiato su cui si attesta l’ingresso all’edificio e che individua la facciata (Grande Stupa, Dehra Dun, India; Pagoda di Gotenba, Giappone). Sono assimilati al concetto di facciata gli inserti scultorei nella pietra, che segnalano la presenza di tombe e templi rupestri in area orientale.

Nel tempio greco, a eccezione del tipo in antis e prostilo in cui manca il peristilio, si hanno sempre due facciate equivalenti, corrispondenti ai lati minori dell’edificio e caratterizzate dalla presenza un numero pari di colonne e del frontone, a prescindere dall’ordine architettonico utilizzato.

Nel tempio etrusco-italico descritto da Vitruvio e presente a Roma nella prima età repubblicana, la facciata è caratterizzata da un portico a colonne e arricchita da ornamentazione policroma (Tempio di Giove Capitolino, Roma). Con il processo di progressiva ellenizzazione, nell’architettura romana le colonne si estendono sugli altri lati dell’edificio, assimilando le soluzioni greche (Tempio di Nettuno o di Marte in S. Salvatore in Campo, Roma). Agli inizi del I sec. a.C., tuttavia, si attestano esempi di tempio a cella trasversale, la cui facciata posta su uno dei lati lunghi, è enfatizzata da un pronao (Tempio di Veiove, Roma).

Nell’architettura paleocristiana, con l’adozione dell’impianto basilicale a tre o cinque navate, la facciata chiesastica assume la forma a capanna o a salienti (S. Prassede, Roma), a volte preceduta da un portico colonnato (S. Vitale, Roma). Caratterizza molte chiese romaniche la facciata a capanna, estesa su tutta la larghezza della chiesa (cattedrale, Parma), con la partizione interna evidenziata tramite contrafforti (S. Pietro in Ciel d’Oro, Pavia), o corrispondente a nave unica o cieca con matronei (S. Ambrogio, Milano), o a sala (Saint-Jouin-de-Marnes), oppure a salienti. Spesso accoglie una ricca decorazione architettonica, centrata sull’uso dell’arco a tutto sesto (duomo Pisa; S. Antonio, Padova). In alcuni casi è preceduta da un cortile porticato, il quadriportico, che ne occulta parzialmente la visibilità (S. Ambrogio, Milano).

La diffusione in Europa centro-settentrionale del Westwerk condiziona molte facciate romaniche e gotiche di quest’area, dette ‘armoniche’, cioè affiancate da torri dal volume autonomo (cattedrale, Durham) sia che la parte centrale mantenga il profilo a capanna, sia che essa si sviluppi orizzontalmente (cattedrale, Southwell). Dal tardo romanico al Gotico, l’arco a sesto acuto e forme via via più svettanti emergono in facciata dai frontoni appuntiti, stretti tra altissime torri, la cui verticalità è esaltata da intaccature, risalti, bicromia e continuità degli elementi (duomo, Limburg). Il lessico scultoreo-architettonico gotico esalta e arricchisce il processo. Struttura e distribuzione interna si manifestano in facciata con una chiara tripartizione verticale, sottolineata dalle torri laterali e dai risalti dei contrafforti ma anche dalla concatenazione delle bucature, collegate da cuspidi o altri elementi (cattedrale, Reims). L’articolazione orizzontale interna si riflette nelle facciate in ulteriori livelli (cattedrale, Amiens e Burgos). La crescita d’importanza del transetto porta a sottolineare le facciate laterali: le testate si staccano dal piano retrostante e si caratterizzano per la dialettica tra linee orizzontali e verticali, con lo svuotamento del settore centrale stretto tra esili piloni, la leggerezza dei montanti delle bifore che si susseguono senza soluzione di continuità, la moltiplicazione di cuspidi e pinnacoli (Parigi, Notre-Dame, facciata sud). Verticalità e orizzontalità si scontrano in una tensione continua nelle facciate delle cattedrali inglesi (Lincoln, Wells, Salisbury), sovraccariche di decorazione, in alcuni casi trasponendo letteralmente la spazialità interna (cattedrali di Lincoln; Winchester). In area germanica si sviluppa anche una soluzione con torre assiale anteposta alla facciata a capanna (duomo di Ulm). In Italia l’assenza del Westwerk consente una tripartizione che riflette la spazialità interna in tre settori, di cui quello centrale più largo e più alto, spesso ‘a vento’ (duomo, Siena Orvieto). Perdurano anche i tipi a salienti, enfatizzati da contrafforti (S. Maria Gloriosa dei Frari, S. Giovanni e Paolo, Venezia). Coesiste anche la soluzione a terminazione rettilinea (duomo, Atri, Todi), la cui plasticità può affidarsi a una marcata decorazione architettonica e scultorea (Saint-Nicolas; Digione, Notre-Dame) e che in alcune aree perdura nei secoli successivi (S. Bernardino, L’Aquila).

Nel Rinascimento sorgeil problema di adattare le dimensioni dell’organismo interno, generalmente tripartito e con altezze diverse, ai modelli desumibili dall’antichità classica: il tempio e l’arco di trionfo, che sottintendono un volume a un’unica altezza. In alcuni casi un corpo autonomo addossato alla chiesa nasconde i dislivelli retrostanti dietro una facciata rettangolare, scandita dall’ordine architettonico e coronata da frontone (S. Andrea, Mantova). In altri un ordine architettonico corrispondente all’altezza delle navate minori copre tutta l’estensione della parte inferiore e, sopra, un secondo ordine coronato da un frontone è limitato alla nave. Il corpo centrale più alto e le ali laterali vengono collegate da volute che classicizzano l’andamento dei salienti romanici (S. Maria Novella, Firenze; S. Maria del Popolo, S. Agostino, S. Spirito, Roma).

Dall’arco di trionfo derivano altre ricerche: tre archi di cui quello centrale più ampio (S. Francesco, Rimini); un arco centrale maggiore che identifica la nave, inquadrato da un ordine architettonico e coronato da un frontone, e due archi minori, inquadrati dall’ordine, in corrispondenza delle navatelle (Roccaverano; Sagra di Carpi). Nei due casi il collegamento tra le componenti è affidato a salienti ma nel secondo si tratta di frammenti di frontone: si delinea quindi chiaramente la presenza di due moduli, identificati dall’ordine, uno maggiore, per la nave e uno minore per le navatelle. Questo modello sarà poi affinato da Palladio, che elimina le arcate e affida alla compresenza di due ordini, di cui uno gigante, l’articolazione della facciata (S. Pietro a Castello, S. Francesco della Vigna, S. Giorgio Maggiore e Redentore, Venezia). Nel ‘500 la sovrapposizione di due ordini subisce varianti. In alcuni casi essi si estendono per tutta la larghezza della facciata (modello di S. Lorenzo, Firenze; S. Luigi dei Francesi, Roma); in altri c’è un solo ordine, coronato da campanili laterali (Trinità dei Monti, Roma). Nella chiesa del Gesù, a Roma, viene fatto risaltare il settore centrale su entrambi i livelli, permettendo di identificare il volume della nave. Questa soluzione, considerata tipica della Controriforma, perdura nei secoli successivi (S. Susanna, Chiesa Nuova, S. Andrea della Valle, Roma; chiesa dei Domenicani, Vienna). L’esperienza barocca italiana elabora queste soluzioni, ondulando le superfici (Oratorio dei Filippini, S. Carlino alle Quattro Fontane, Roma), esaltando i volumi (basilica di Superga), inserendo portici (S.M. in via Lata, Roma).

Fuori d’Italia tali modelli vengono adattati alle predilezioni locali: in Francia, Spagna e Inghilterra, nel corso del Seicento, molti edifici associano il tipo a due ordini sovrapposti, con o senza frontone, con la presenza delle torri laterali, di memoria medievale (Saint-Eustache e Saint-Sulpice, Parigi; Almudena, Madrid; cattedrale St. Paul, Londra). In area germanica nei secoli XVII-XVIII lo stesso tipo presenta una maggiore articolazione spaziale, che stacca ormai del tutto la facciata dall’organismo retrostante, esaltando i singoli volumi o incurvando le superfici (chiese dei Geusiti, di S. Pietro e di S. Carlo, Vienna; duomo di Berlino). Nel corso dell’800 le correnti neogotiche e neoclassiche rivisitano i tipi fin qui osservati, senza apportare sostanziali modifiche mentre alla fine del secolo l’uso di tecniche e materiali diversi porta all’enfatizzazione delle forme, a volte in chiave del tutto personale (Sagrada Familia, Barcellona).

Nel XX secolo la rivoluzione tecnologica, le nuove valenze estetiche e la pluralità delle confessioni modificano radicalmente la facciata dell’edificio di culto. La ricerca di corrispondenza tra organismo e involucro porta a volte a non identificare una facciata principale (Unity Temple, Oak Park; First Unitarian Church, Rochester) o alla totale rivisitazione delle componenti in chiave plastica (chiesa di Ronchamp; San Giovanni Battista, Firenze).

Architettura civile

Le conoscenze sull’architettura civile dell’antichità sono scarse. Le abitazioni estensive greche e romane si sviluppano verso l’interno, senza enfatizzare la facciata; le insulae hanno al piano terra taverne con ampie entrate e bucature più piccole ai piani superiori, probabilmente ornate da elementi dell’ordine architettonico (Horrea Epagathiana, Ostia). Lo stesso tipo di articolazione, con finestre coronate da frontoni triangolari o curvilinei, si trova in altri tipi di edifici, come terme e mercati (terme di Diocleziano e Mercati Traianei, Roma).

Nel Medioevo italiano la facciata del palazzo è sostanzialmente muraria, articolata da arcate, trifore, in genere coronata da merlature (palazzo Vecchio, Firenze). In alcuni casi le logge trovano spazio nei piani alti (palazzo Davanzati, Firenze). Solo Venezia si contraddistingue per il predominio del vuoto sul pieno (palazzi Ducale, Ariani Minotto, Ca’ d’Oro). Nel resto d’Europa le facciata, specie pubbliche, sono caratterizzate da logge e ampie finestre (municipio, Lubecca).

Nell’edilizia privata l’uso delle bucature non segue canoni di regolarità e simmetria ma di funzionalità, variando collocazione, forma e dimensioni a seconda dell’ambiente da illuminare. A partire dal Rinascimento, soprattutto italiano, la facciata di palazzo è simmetrica, con l’ingresso sull’asse e le bucature disposte a intervalli regolari in genere su tre piani, divisi da cornici marcapiano (palazzo Baldassini, Roma). Con la ripresa del linguaggio classico si passa dalle bifore alle finestre rettangolari, modanate, o coronate da frontone, o a edicola (palazzo Farnese, Roma). Il piano terra può essere caratterizzato da botteghe, aperte su strada con arcate a tutto sesto o piattabande (palazzi Alberini e Maccarani, Roma). La facciata è a bugne con aggetto degradante (palazzo Medici a Firenze), in laterizio, con rivestimento lapideo (palazzo della Cancelleria, Roma), oppure intonacata.

Gli ordini architettonici possono ritmare la facciata, sovrapposti (palazzo Rucellai, Firenze), limitati a un livello (palazzo Caprini, Roma), estesi a tutta l’altezza dell’edificio (palazzo dei Conservatori, Roma) o essere assenti. In alcuni casi la facciata sul giardino è aperta da logge (palazzo Piccolomini, Pienza). In area veneta la facciata è generalmente tripartita, con alternanza dei vuoti e dei pieni, articolata dagli ordini architettonici (palazzi Corner, Balbi-Valier, Venezia; chiericati, Vicenza).

Il modello italiano è generalmente adottato in Europa, dove accanto a uno spiccato classicismo permane il predominio dei vuoti sui pieni, ottenuto con il raggruppamento delle bucature e con il loro sviluppo verticale (municipio, Anversa). Dal Rinascimento si diffonde la facciata di villa con frontone di tempio (Poggio a Caiano; ville palladiane), destinata a una grande fortuna per diversi secoli, soprattutto in area anglo-sassone. Da fine ‘800 il concetto di facciata è soppiantato da ricerche rivolte alla funzione, alla spazialità e alla corrispondenza tra organismo e involucro, dove simmetria e regolarità dell’articolazione perdono di attualità. La facciata rimane individuabile soprattutto nel lato di accesso all’edificio.

Bibliografia

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