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Modulo

L'uomo vitruviano, Mariano di Iacopo detto il Taccola, [1433], (De ingeneis,I-II, Cod. Lat. Monacensis 197 II, Bayerische Staatsbibliothek, c.36v).
L'uomo vitruviano, Mariano di Iacopo detto il Taccola, [1433], (De ingeneis,I-II, Cod. Lat. Monacensis 197 II, Bayerische Staatsbibliothek, c.36v).

Definizione – Etimologia

Il termine deriva dal latino modŭlus, ciò che serve da misura, diminutivo di modus misura.
In genere identifica la misura, sia essa un oggetto concreto o un’entità astratta, che viene assunta come elemento base per il proporzionamento di un insieme architettonico; rappresenta perciò l’unità elementare costitutiva di tale insieme che, essendo ottenuto dalla ripetizione di quell’unità secondo opportuni criteri geometrici, viene definito modulare.

Origine storica

I primi studi sulla rappresentazione della figura umana attraverso l’ausilio di un reticolato modulare risalgono alle civiltà egizie. Nell’antica Grecia, con la ricerca artistica di Policleto, si perviene alla teorizzazione dell’ideale estetico, che si concretizza nel kanon (canone, regola), trattato in cui sono definiti i principi per il proporzionamento del corpo umano.
Nell’architettura dell’età classica, prima greca e poi romana, il modulo indica una misura assunta come unità di riferimento per il dimensionamento delle parti di un edificio. Nel De Architectura Vitruvio introduce il modulo come analogo del greco embater, cui corrisponde generalmente il diametro della colonna misurato nel suo punto più basso (imoscapo); le dimensioni di tutte le altre parti del tempio cui la colonna appartiene sono ricavate come multipli o sottomultipli di tale diametro. Ne deriva la definizione di una configurazione ideale dotata di armonia e simmetria (intesa, secondo l’etimo greco, come sinonimo di proporzione ovvero come commensurabilità del tutto alle singole parti).
In epoca medievale è frequente il ricorso a griglie o tracciati modulari, usati sia per il valore simbolico che per quello proporzionale, nella rappresentazione di figure zoomorfe e antropomorfe, ma anche nella progettazione e nel proporzionamento di elementi architettonici (Villard de Honnecourt); in tal senso, è emblematica la forma della vesica piscis, simbolo ogivale associato alla divinità (l’immagine di Cristo è spesso raffigurata al suo interno) o impiegato nel disegno e nella verifica proporzionale di piante o facciate di edifici (costruzioni ad triangulum e ad quadratum), anche in relazione a questioni di carattere costruttivo.
La ricca produzione trattatistica rinascimentale, tesa alla codificazione degli ordini architettonici, riprende la definizione vitruviana del modulo, pur differenziandone i criteri di individuazione e le specifiche dimensioni secondo l’ordine architettonico di riferimento. In tale ottica, il modulo può essere individuato, alla maniera vitruviana, nel diametro all’imoscapo (Leon Battista Alberti) o, in alternativa, nel semidiametro all’imoscapo (Palladio, Vignola); in ogni caso, il modulo è suddiviso in sottomultipli (definiti parti o minuti) utili al dimensionamento delle membrature o degli ornamenti più piccoli, le cui misure risultano di conseguenza regolate da rapporti aritmetici costanti. Durante il Rinascimento la nuova concezione antropocentrica elegge l’uomo a misura di tutte le cose: ne consegue la proliferazione di rappresentazioni in cui la figura umana, inscritta all’interno di forme geometriche regolari (Francesco di Giorgio Martini, Leonardo da Vinci, Albrecht Dürer) è assunta come unità dimensionale (uomo-misura) degli elementi che, a varie scale, compongono lo spazio architettonico, che si configura perciò come maglia modulare infinitamente estesa proporzionata sulla metrica antropica. Accanto a tale principio regolatore, si diffonde la consuetudine di impiegare una serie di rapporti armonici (1:2, 2:3, 3:4, ma anche √2 e φ) come semplici strumenti di controllo delle proporzioni di un edificio, al fine di tendere alla perfezione estetica.
In epoca recente (1942-1948) Le Corbusier perviene alla formulazione del modulor (contrazione di module modulo e nombre d’or numero aureo), sistema di proporzionamento da applicare sia alla progettazione architettonica sia alla produzione industrializzata, alla grande come alla piccola scala, al fine di ottimizzare la congruenza estetica e funzionale tra uomo e spazio costruito. Tale sistema si compone di due serie armoniche di misure (serie rossa e serie blu), ricavate mediante successive divisioni secondo il numero aureo φ=1.618, rispettivamente a partire dalla statura dell’uomo, assunta convenzionalmente pari a 183 cm, e dall’altezza dello stesso uomo con il braccio alzato, assunta convenzionalmente pari a 226 cm. Le misure che compongono le due serie costituiscono un abaco dimensionale cui attingere per il proporzionamento dello spazio architettonico, interno ed esterno.

Sensi usati in architettura

Modulo compositivo
Il primo e più diffuso senso del termine, anche in virtù dei lineamenti storici finora ripercorsi, è quello di modulo compositivo ovvero di modulo inteso come unità di misura da impiegare, anche attraverso i suoi multipli e sottomultipli, per il dimensionamento di un’architettura e delle sue parti. Gli edifici sono quindi inclusi in una sorta di griglia modulare, piana o tridimensionale, che ne governa le proporzioni. In questa prima accezione, il modulo non può, però, essere interpretato unicamente come elemento di forma regolare (ad esempio quadrato o rettangolare, a seconda delle specifiche proporzioni armoniche prestabilite) da moltiplicare e giustapporre in funzione delle esigenze progettuali. Vi sono, infatti, casi in cui il modulo è un elemento che presenta una forte complessità, poiché deriva dalla composizione di più parti semplici, che concorrono a definire un insieme armonico di livello gerarchico superiore. In tal senso, è possibile interpretare come modulo la serliana, elemento architettonico composito ottenuto dall’affiancamento simmetrico a un arco a tutto sesto di due aperture sormontate da un architrave e separate tramite colonne da quella centrale; tale modulo è largamente impiegato come motivo compositivo nell’architettura rinascimentale del periodo manierista. Analogamente, nel progetto per gli Uffizi, Giorgio Vasari adotta come modulo compositivo un intero segmento cielo-terra di facciata che, ripetuto per affiancamento, definisce la scansione regolare che contraddistingue lo spazio pubblico compreso tra le due ali contrapposte del complesso architettonico. Tale principio di modularità della composizione trova larga applicazione anche nell’età contemporanea (da Oswald Mathias Ungers ad Aldo Rossi).

Modulo costruttivo
Il concetto di modulo come unità regolatrice dello spazio non si limita all’astrazione propria del processo ideativo, ma può essere traslato anche alla sfera concreta della pratica edificatoria. Si può parlare cioè di modulo costruttivo, inteso come elemento fisico le cui proporzioni stabiliscono e determinano in maniera necessaria quelle dell’insieme risultante dall’assemblaggio. In tale accezione, il primo e più immediato esempio di modulo è rappresentato dal mattone, che fin dall’epoca ellenistica si afferma come elemento prodotto in serie secondo rapporti dimensionali codificati. La corrispondenza tra le caratteristiche dimensionali e gli aspetti prettamente costruttivi impone che la realizzazione di un edificio tenga conto delle proprietà materiche, delle esigenze produttive, così come delle questioni legate al trasporto e al montaggio degli elementi. Il modulo diviene in tal senso un vero e proprio anello di congiunzione tra la progettazione architettonica e la produzione industriale.
Il modulo costruttivo può riduttivamente apparire come incarnazione concreta del corrispondente modulo compositivo (trattandosi di una membratura elementare che, iterata in base a un certo principio ordinatore, costituisce un insieme a essa commensurabile); è perciò indispensabile ampliarne la definizione fino a coinvolgere le importanti mutazioni determinate nel campo dell’edilizia dall’avvento della meccanizzazione.
Il processo di progressiva industrializzazione, che coinvolge anche la produzione seriale degli elementi costruttivi, determina infatti lo sviluppo di una ricerca che culmina, intorno agli anni Sessanta del Novecento, nell’introduzione della progettazione modulare degli organismi edilizi. Nella fase progettuale si utilizzano cioè reticoli preferenziali, le cui griglie multimodulari, che tengono conto delle dimensioni dei componenti prodotti industrialmente, stabiliscono un riferimento sistematico per il proporzionamento di pareti, infissi ed elementi strutturali. Questo approccio progettuale, che può anche essere definito costruzione modulare, prevede così l’impiego di elementi concepiti secondo un sistema razionale che ne coinvolge sia le dimensioni che i sistemi di connessione. Il legame tra un simile tipo di progettazione e i processi di prefabbricazione è a questo punto immediato: l’elemento prefabbricato si configura perciò come modulo d’elezione nel campo dell’edilizia industrializzata.
Un simile concetto di modulo coinvolge anche gli ambiti del design industriale e, di conseguenza, dell’arredamento: modulo è ciascuno dei componenti, dotati di caratteristiche costruttive comuni, progettati e prodotti al fine di consentire l’accostamento in maniera libera e quanto più possibile variegata in funzione di differenti esigenze, anche mediante opportuni elementi di raccordo. È ormai pratica diffusa interpretare il modulo come componente edilizio alla grande scala, ad esempio un sistema strutturale (modulo capriata, modulo telaio), un sistema di rivestimento (modulo involucro) e perfino un’intera stanza (modulo cucina, modulo bagno).

Modulo abitativo
La concezione del modulo come elemento di scala macroscopica, che discende dagli aspetti legati al design, è evidentemente connessa alle questioni prettamente abitative: frequente è infatti il ricorso al termine per indicare lo spazio necessario allo svolgimento delle funzioni vitali quotidiane. Si parla in tal caso di modulo abitativo, che definisce la componente prima del sistema abitativo (alloggio), insieme di ambienti elementari in cui l’uomo compie i gesti privati della vita di ogni giorno. La disposizione e le mutue relazioni che possono intercorrere tra tali ambienti sono da sempre, nel campo della progettazione, oggetto di approfondite riflessioni di carattere prevalentemente tipologico. La ricerca architettonica ha raggiunto in questo ambito esiti talvolta emblematici (quali ad esempio l’alloggio tipo dell’Unité d’habitation realizzata da Le Corbusier a Marsiglia), che costituiscono ancor oggi riferimenti attivi nella pratica progettuale.
La più generale definizione di modulo abitativo si specializza dunque in quella di modulo tipologico, che definisce un nucleo composto da spazi abitativi elementari relazionati secondo connessioni ottimizzate dal punto di vista distributivo e funzionale. Occorre peraltro considerare il necessario inserimento del modulo all’interno del tessuto urbano (o, comunque, dell’ambiente antropizzato), che rende imprescindibile la riflessione sull’autonomia funzionale di tale cellula elementare.

Modulo oggetto
Una definizione che coinvolge trasversalmente le varie accezioni è quella di modulo oggetto: secondo Giulio Carlo Argan si tratta di “un principio ideativo” che è al contempo “il fatto-base della costruzione”. A differenza del modulo misura, entità dimensionale astratta utile a stabilire relazioni metriche quantitative o qualitative tra le parti di un edificio, il modulo oggetto è definito come entità fisica e coincide con un elemento prodotto industrialmente secondo i metodi della prefabbricazione. L’applicazione di tale principio progettuale si rileva tanto nelle strutture reticolari di Richard Buckminster Fuller, ottenute assemblando elementi costruttivi lineari e puntiformi (aste e nodi) a formare molteplici e articolate configurazioni spaziali, quanto nelle esperienze di Konrad Wachsmann, tese all’individuazione di un modulo base universalmente condiviso dalla produzione industrializzata. La massima espressione del modulo oggetto coincide con l’introduzione delle cellule spaziali, “entità volumetriche abitabili complete e finite in ogni loro parte da montare in cantiere per semplice sovrapposizione”: tale componente macroscopico compendia i concetti di modulo compositivo, modulo costruttivo e modulo tipologico, configurandosi come massima sintesi del concetto di modulo. Occorre d’altra parte sottolineare come un sistema abitativo concepito in maniera estremamente standardizzata possa risultare asettico e spersonalizzante: da tali ragioni (ovvero un’eccessiva rigidità del metodo unita a una limitata capacità ricettiva del contesto sociale in cui questo s’inserisce), ma anche da incongruenze o difficoltà realizzative, deriva probabilmente il fallimento di esperienze insediative illustri.
Le potenzialità espressive del principio progettuale del modulo oggetto sono in ogni caso notevoli, in virtù dell’assoluta libertà nelle possibilità aggregative consentite dalla modularità addizionale così come teorizzata da Jorn Utzon, che permette di generare organismi edilizi complessi e diversificati alla scala urbana, come dimostrano le recenti sperimentazioni prevalentemente proposte da progettisti nord europei (dagli MVRDV a BIG). Va inoltre evidenziata la possibilità di affrontare, attraverso tale sistema, le questioni dell’abitazione provvisoria, mobile o d’emergenza (la casa per tutti).

Lemmi derivati: modanatura, modulare
Lemmi connessi: proporzione, simmetria

Bibliografia

Architetture modulari, numero monografico di «Materia», 2003, 40; Argan C.G., Modulo-misura e modulo-oggetto, in Argan C.G., Progetto e destino, Milano, 1965, pp. 104-115; Furnari M., Atlante del Rinascimento. Il disegno dell’architettura da Brunelleschi a Palladio, Napoli, 1993;
L’edilizia residenziale. Quaderni del manuale di progettazione edilizia, Milano, 2002; Le Corbusier, Le Modulor, Boulogne (Seine), 1950; Mandolesi E., Edilizia, Milano, 1978, I (Le finalità, il processo edilizio, l’edilizia industrializzata, l’edilizia del futuro); Morolli G., Le membra degli ornamenti. Sussidiario illustrato degli ordini architettonici con un glossario dei principali termini classici e classicistici, Firenze, 1986 Wachsmann K., Una svolta nelle costruzioni, Milano, 1960.

 

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