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Picta, architettura

Oplontis, villa Poppea, architettura picta negli affreschi, I sec. a.C.
Oplontis, villa Poppea, architettura picta negli affreschi, I sec. a.C.

Definizione – Etimologia

Termine latino, p.p. di pingere, dipinto, che composto con la parola archittettura indica le rappresentazioni di pareti decorate con figure di edifici al fine di simulare la tridimensionalità spaziale. Utilizzata per lo più in fondali o nelle superfici più importanti di ambienti chiusi, l’architettura picta si relaziona alla percezione dello spazio e non alla rappresentazione della realtà fisica, tema che implicitamente propone un dibattito sulla genesi della forma architettonica, sui limiti mai troppo definiti fra invenzione e copia, memoria e idea, disegno e progetto.

Cenni storici – Esempi

Le prime tracce dell’architettura picta si ritrovano alle radici della cultura urbana, come dimostra ad esempio l’intuita relazione fra percezione e rappresentazione propria del disegno di Çatal Höyük databile intorno al 8.000 a.C., dove sono riprodotti la pianta e l’alzato della città e del suo territorio. Se le rappresentazioni dello spazio architettonico si susseguono nelle diverse culture principalmente al fine dell’esaltazione del potere, il tema dell’architettura picta raggiunge un suo statuto nella cultura classica in cui architettura e rappresentazione si condensano in fondali dominati dall’anticipazione dello spazio prospettico, come testimoniano ad esempio gli affreschi della Villa Poppea ad Oplontis del I sec. a.C. o la Stanza delle Maschere della Domus Augusti nel colle Palatino del secolo successivo.
La pittura diviene il principale strumento atto a rendere policroma l’architettura nel corso del Medioevo, ma l’architettura picta di Giotto può essere considerata l’anello di congiunzione fra i modelli antichi e l’approccio rinascimentale. Alla nascita della rappresentazione scientifica, Leon Battista Alberti nei trattati De Pictura e De Re Aedificatoria propone la tesi del primato ideativo dell’invenzione pittorica come genesi del disegno architettonico, euristica rappresentativa evidente ad esempio nel tema degli edifici a pianta centrale teorizzato prima nelle raffigurazioni e solo successivamente sviluppato nel disegno di progetto. Nel XV secolo, infatti, prolificano gli studi sull’architettura picta e maestri come Alberti, Masaccio, Donatello, Piero della Francesca, Perugino, Botticelli, Pinturicchio, Francesco di Giorgio nelle loro opere sperimentano e inventano nuove soluzioni narrative tramite l’architettura picta, consacrate dalla codifica della prospettiva che diviene lo strumento fondamentale per esaltare la simulazione della percezione dello spazio nell’immagine disegnata: fra le diverse opere prodotte in questo periodo, si possono citare la Camera Picta di Andrea Mantegna e il coro disegnato di Santa Maria presso San Satiro del Bramante.
Nel primo Cinquecento Roma diviene un laboratorio per l’architettura picta, con Raffaello e la scuola che, con crescente rigore filologico, definisce i modelli architettonici classici in un rapporto inscindibile fra rilievo, finzione e classicità.
Nell’astrazione sempre più ricercata dei modelli ideali che la scientificità della rappresentazione garantisce, l’architettura picta si compenetra con l’Architettura Ficta nel creare l’illusione di uno spazio tridimensionale. Tali applicazioni si rafforzano nel Barocco, di cui Andrea Pozzo e in particolare la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio a Roma ne sono un paradigma. Da arte nobiliare, nell’Ottocento l’architettura picta si diffonde nei prospetti della città per sostituire materiali e forme, con finte finestre e rivestimenti disegnati al fine di uniformare o abbellire l’immagine architettonica.

Bibliografia

De Rosa A., Sgrosso A., Giordano A., La geometria nell’immagine: storia dei metodi di rappresentazione, Torino, 2000-2002; Francastel P., Lo spazio figurativo dal Rinascimento al Cubismo, Torino, 1957; Migliari R., La costruzione dell’architettura illusoria, Roma, 1999.
XY Dimensioni del Disegno. Architettura Ficta, XV, Officina, Roma, 2002, 41-43.

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