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Polimeri

Struttura di un polimero termoplastico: A) zone disordinate (amorfe); C) zone cristalline.
Struttura di un polimero termoplastico: A) zone disordinate (amorfe); C) zone cristalline.

Generalità

II termine polimero (da pòli molti e mèros parte) fu coniato da Jöns Jacob Berzelius (chimico svedese, 1779-1848); tale termine indica sia i polimeri naturali (caucciù e cellulosa) sia i polimeri sintetizzati in laboratorio (materie plastiche).
I primi studi sui polimeri sintetici si devono, a Henri Braconnot (chimico e farmacista francese, 1780-1855), il quale ottenne dei composti polimerici derivati dalla cellulosa. Il chimico tedesco Hermann Staudinger nel 1920 ha ipotizzato la struttura macromolecolare delle materie plastiche. Nel corso degli anni sono stati svolti molti studi sul comportamento reologico dei polimeri e sulle metodiche di polimerizzazione; in particolare nel 1963 Karl Ziegler e Giulio Natta ottengono il premio Nobel per la chimica come riconoscimento dei loro studi sui polimeri.

Polimeri termoplastici

Le molecole di alcuni composti organici (monomeri o unità monomeriche da mònos uno e mèros parte; cioè sostanze costituite da una sola unità molecolare) possono reagire fra loro a formare delle lunge catene (una catena può contenere anche migliaia di molecole monomeriche). Queste macromolecole o polimeri, cioè sostanze costituite da più unità molecolari, unite fra loro, in seguito a reazioni chimiche, costituiscono le cosiddette materie plastiche. Le catene macromolecolari, oltremodo flessibili, generalmente si aggrovigliano fra loro a guisa di fili; quelle meno lunghe, formate da decine o centinaia di unità monomeriche, si possono anche accatastare o ripiegare le une sulle altre (struttura paracristallina), disponendosi in maniera ordinata. Mentre i legami sono molto forti all’interno della catene (legami covalenti), le macromolecole si aggregano fra loro con legami deboli del tipo dipolo-dipolo, in quanto composte da gruppi chimici aventi caratteristiche debolmente polari. Pertanto anche sollecitazioni meccaniche di modesta entità scindono questi legami deboli e fanno slittare le catene le une sulle altre; è in funzione della loro struttura che le materie plastiche sono facilmente deformabili e, rispetto a materiali in cui la coesione è dovuta a legami forti (ionici, covalenti e metallici), hanno resistenze piuttosto modeste.
Per esempio il polietilene, pur avendo la stessa natura chimica della paraffina, è però costituito da macromolecole molto più lunghe, contenenti un numero di gruppi -CH2- compreso fra 1.000 e 100.000; il regolare accatastamento è possibile in tal caso soltanto in porzioni molto ristrette del materiale (zone cristalline) e le restanti parti delle catene, aggrovigliate disordinatamente formano delle zone amorfe. A temperatura ordinaria tali sostanze possono essere considerate dei “vetri organici”, nei quali le zone ordinate contribuiscono ad aumentare la resistenza meccanica. L’allineamento delle catene, aumentando il numero dei punti di contatto, favorisce la formazione dei legami dipolari che aumentano la resistenza, mentre alle zone disordinate, più deformabili, è dovuto il requisito della plasticità. Ad alta temperatura le catene si allontanano e il numero delle zone cristalline diminuisce; a caldo si può quindi dare più facilmente una forma al materiale, ad esempio, per stampaggio; da cui la definizione di materiale termoplastico.

Oltre al polietilene, molti altri polimeri organici hanno strutture di questo tipo e comportamento termoplastico: alcuni, come il polistirene o il polimetacrilato, forniscono dei vetri trasparenti, di aspetto simile a quelli inorganici.

Elastomeri

Altri polimeri, quasi completamente amorfi a temperatura ambiente, sono particolarmente deformabili; per trazione possono allungarsi più del 100%, e spesso anche fino al 1.000%, ma riprendono la forma e le dimensioni iniziali al cessare della sollecitazione. Queste sostanze sono dette Elastomeri o Gomme. Le loro catene macromolecolari sono raggomitolate, ma unite in alcuni punti da legami forti covalenti (ponti di atomi). Nella trazione le catene si distendono, come nel caso dei polimeri termoplastici, ma si comportano poi come molle in tensione, perché i “ponti atomici”, al cessare dello sforzo, le riportano nelle posizioni originarie e il materiale riassume la forma primitiva. A temperature molto basse le catene si avvicinano e possono formare delle regioni ordinate: diminuisce l’elasticità e il materiale diventa fragile.

Polimeri termoindurenti

In alcuni polimeri le catene macromolecolari, in seguito a riscaldamento o, eventualmente, per azione di specifici reattivi, possono legarsi fra loro con legami primari, molto più numerosi di quelli che agiscono negli elastomeri. Si forma un reticolo tridimensionale disordinato e il materiale risulta amorfo e rigido, come un vetro inorganico; siccome la rigidità è conseguita con il riscaldamento, queste sostanze a struttura reticolata sono dette anche resine termoindurenti. Ne è un esempio la bachelite, la quale viene prodotta facendo reagire il fenolo con l’aldeide formica: si ottengono macromolecole lineari, che, per riscaldamento, si legano con legami covalenti primari formando una struttura rigida e resistente. I materiali di questo tipo, se vengono riscaldati, non passano allo stato plastico perché le catene, bloccate dai legami forti che le uniscono, non possono muoversi o scorrere le une rispetto alle altre come nei polimeri termoplastici; a più alte temperature si rompono non solo i legami fra le catene, ma anche quelli che costituiscono le macromolecole linerari e il materiale, degradandosi, perde la sua coerenza.

Geli

Le molecole e le macromolecole, disciolte in un liquido, possono associarsi e formare delle grosse particelle. Se queste rimangono uniformemente disperse nel fluido, si dice che si forma una soluzione o sospensione colloidale; se si collegano fra loro con legami chimici, possono formare strutture più o meno rigide, dette geli, ricche di porosità nelle quali rimane inglobato il solvente. Se i punti di saldatura fra le particelle colloidali non sono numerosi il gelo è flessibile e plastico chiamato gelo elastico. Quando si formano legami forti la struttura invece risulta rigida e resistente e viene definito come “gelo rigido”. Il bitume è un gelo elastico formato da macromolecole di idrocarburi che, legandosi fra loro, incorporano degli oli cioè degli idrocarburi liquidi a più basso peso molecolare. Invece, dalle soluzioni acquose di silicato sodico, gli acidi minerali fanno precipitare un gelo di silice idrata, che in seguito a parziale essiccazione produce una struttura rigida, con porosità piene di acqua. Nel cemento impastato con l’acqua si formano delle sottili fibre cristalline che si uniscono per costituire agglomerati rigidi e resistenti, il gelo silicatico con porosità contenenti acqua: è questa la struttura della pietra di cemento. I geli rigidi presentano elevate resistenze meccaniche.

Struttura di un polimero elastomerico.

Struttura di un polimero elastomerico.

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