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Unità abitativa

Le Corbusier, Unité d'Habitation a Marsiglia durante la costruzione, 1947-52.
Le Corbusier, Unité d'Habitation a Marsiglia durante la costruzione, 1947-52.

Definizione

Architettura con valenza urbanistica, alternativa alla città tradizionale, costituita da uno o più edifici residenziali per 1000/2000 persone, contenente alloggi con livelli di aggregazione estesi e complessi, integrati con servizi e attrezzature di prima necessità. Di norma isolata e di grande dimensione, tendente in alcuni casi al fuori scala, l’unità abitativa è sintesi del pensiero utopistico ottocentesco, ideali di progresso del Movimento Moderno e profezia urbana di Le Corbusier, teorico e artefice della prima Unité d’habitation costruita a Marsiglia nel 1947-52. Ma con unità abitativa o unità residenziale, dalla seconda metà del Novecento, si indicano anche le moltissime architetture, in primo luogo di carattere sperimentale prototipico, a blocco o diversamente organizzate, prive di servizi, destinate in modo esclusivo a usi residenziali.

Derivazione – Processo formativo

Con differenti opzioni per sistemi produttivi e modalità di vita associata, il Falansterio di C. Fourier (1822) e il Familisterio di J.P. Godin (1859-70) sono l’esito degli studi più organici sugli insediamenti comunitari isolati nell’Ottocento. Alternativi al caos urbano, basati sull’interazione fra residenza e servizi, entrambi si strutturano simmetricamente in tre blocchi a corte, il Falansterio con strade-gallerie interne e corti all’aperto, il complesso di Godin con blocchi ripetuti senza rues intérieures ma a corti coperte adibite anche a snodi distributivi. Fra il 1928 e il 1934 M. Ginzburg e I. Milinis realizzano a Mosca per il Narkomfin la “casa del nuovo tipo di vita”, applicazione esemplare, rimasta incompleta, della straordinaria fioritura di formulazioni teoriche di quegli anni sull’alloggio, con soluzioni aggregative e tipologiche d’avanguardia nell’organizzazione dello spazio interno. L’unità residenziale di Mosca è un prototipo di casa collettiva a 5 piani per 50 famiglie in cui si sperimentano la nozione di standard minimo, nuovi materiali, tecniche innovative di produzione in serie e flessibilità nell’uso di cellule d’abitazione modulari su un piano, duplex e triplex con un’originale distribuzione sfalsata costituita da rue corridor al primo e al quarto piano. Edificata su pilotis, con piani di facciata solcati da lunghe e ampie finestre a nastro, soggiorni a doppia altezza, partizioni mobili e tetto piano con foresteria e solarium, l’opera di Ginzburg recepisce le teorie corbusierane, anche se l’architetto svizzero, dopo averla visitata, criticherà la freddezza dell’impianto distributivo e la monotonia dell’architettura.
Il modello dell’ “unité d’habitation de grandeur conforme” che Le Corbusier descrive nel ’46 in Manière de penser l’Urbanisme costituisce l’unità abitativa per antonomasia. Realizzato in un unico esemplare in cinque diverse occasioni, resterà sulla carta come elemento ripetuto nei piani di S. Dié (1945), S. Gaudens e La Rochelle (1946), nel concorso per Strasburgo e nel progetto per Meux (1956). La prima unité è realizzata a Marsiglia su incarico del Ministero dell’Urbanistica e della Ricostruzione francese. Alta 18 piani per 56 metri, lunga 156, profonda 24,22, composta da 337 appartamenti di 23 tipologie diverse per 1600 persone, la struttura “cellulare” del complesso declina, con accenti fourieristici, il messaggio della machine à habiter attraverso un nuovo codice di misure (modulor), con unità duplex che si incastrano “a pipa” ogni due piani intorno alla strada interna per l’intera profondità del corpo di fabbrica, servizi interni a metà altezza (asilo nido, negozi, lavanderia, ristorante ecc.) e attrezzature comuni nel “tetto giardino”. Le altre quattro unité, con diverse variazioni imposte dai committenti, saranno realizzate a Nantes-Rezé (1955), Berlin-Charlottenburg (1956-1958), Briey-en-Forêt (1959-61) e Firminy (terminata da A. Wogenscky, 1956-65). Al di là del monoblocco a sviluppo verticale e dell’integrazione nello stesso edificio di più servizi, queste opere prefigurano con ampio successo un modo alternativo di abitare influenzando formalmente molti insediamenti residenziali coevi nelle periferie urbane, anche differenti per concezione e tipologia. Fra essi le unità residenziale“coricate” a sviluppo sinuoso del quartiere di São Cristóvão a Rio de Janeiro (A.E. Reidy, 1946-58) e di Forte Quezzi a Genova (L.C. Daneri, E. Fuselli, 1956-58).
L’istanza idealista corbusierana contenuta nel progetto di architettura integrato condiziona anche il dibattito sugli edifici di misura eccezionale. Progettato da una squadra di 23 architetti coordinata da M. Fiorentino, il Corviale di Roma (1975-82) è una unità abitativa che si configura come “megastruttura abitativa integrata”, una sorta di “grattacielo disteso”diviso in cinque unità di gestione per un chilometro di lunghezza, nove piani più garage e seminterrato, 1.200 appartamenti per circa 4.500 persone. Il progetto prevedeva un’ampia integrazione fra residenze e servizi, pubblico e privato, con la presenza di un teatro, sale condominiali, centri sportivi, un piano destinato a servizi commerciali, laboratori ecc. Ma il modello corbusierano a Corviale è violentato nei suoi principi con l’assenza della politica nel sostenere investimenti per una integrazione efficiente dei servizi e con la scarsa eterogeneità sociale. Molte unità abitativa restano campioni isolati con storie di incompletezza, rilevandosi nel tempo realtà urbane difficilmente attuabili, per complessità costruttiva, ragioni fondiarie, sociali, gestionali, manutentive e per inserimento problematico dei servizi collettivi. La tendenza generale sarà quella della loro fuoriuscita dalle unità residenziali e collocazione in edifici autonomi più o meno prossimi alle abitazioni.
Le unità abitativa erano pensate per soddisfare “finalità pratiche” con modalità d’avanguardia esprimendo valori ideali. Come gli impianti del Falansterio e del Familisterio ricalcavano lo schema della reggia di Versailles e l’unità abitativa di Marsiglia era salutata da E.N. Rogers come riproposizione del Palais, così il Corviale, troncone d’utopia ed emblema del disagio urbano, era il prodotto di un progetto molto ambizioso che voleva far dimenticare la modestia degli edifici popolari del ventennio precedente introducendo a Roma la “lezione dell’architettura moderna”.

Bibliografia

Benevolo L., Giura Longo T., Melograni C., La progettazione della città moderna, Bari, 1977; Frampton K., Storia dell’architettura moderna, Bologna, 1982;  Mazziotti G., Dalle case collettive alle unità urbane, Napoli, 1995.

 

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