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Edilizia intensiva

Montreal (Canada), Habitat 67, M. Safdie, 1967.
Montreal (Canada), Habitat 67, M. Safdie, 1967.

Definizione

Realizzazione di fabbricati consistenti per densità e dimensioni, per lo più a uso abitativo, tipica dei fenomeni di urbanesimo, avente il fine di uno sfruttamento intensivo del suolo. La misura della consistenza del costruito, nelle tecniche edilizia e urbanistica, utilizza rispettivamente l’indice fondiario e territoriale. Nel primo caso si parla di costruzione intensiva, nel linguaggio tecnico comune intensivo, tipo edilizio multipiano che ottiene il massimo rendimento dall’area fabbricabile sviluppandosi il più possibile in altezza e densità, diminuendo al minimo superfici scoperte e distacchi con edifici adiacenti. Il rapporto tra la superficie utile lorda dell’edificio e la superficie fondiaria si quantifica con l’indice di utilizzazione fondiaria, espresso in m2/m2.

Nella disciplina urbanistica, in ordine alla determinazione dell’assetto territoriale mediante classificazione delle zone di piano regolatore, l’edilizia intensiva è una categoria d’intervento contrapposta all’edilizia estensiva. Per le norme che regolano le lottizzazioni dei piani urbanistici si è prevalente mente usato l’indice di fabbricabilità, espresso in m3/m², di norma compreso tra 7/15 per l’edilizia intensiva e 1,5/2,5 per l’estensiva.

Altro parametro che individua uno sfruttamento edilizio intensivo del suolo è il numero degli abitanti per ettaro, oltre i 350 per lottizzazioni intensive. Con più approssimazione si considera il numero dei piani dell’edificio, 1/2 livelli per l’edilizia estensiva, 3/4 per la seminintensiva, oltre per l’edilizia intensiva.

Generalità

Legata a pratiche di speculazione fondiaria che si verificano con particolare dinamismo nei fenomeni di accentuato urbanesimo, l’edilizia intensiva produce un doppio effetto: permette da un lato di evitare la dispersione di parti residenziali costituite da piccoli edifici, riducendo il consumo di suolo e consentendo di razionalizzare i costi delle opere di urbanizzazione e dei servizi. Dall’altro, in assenza di valide metodologie d’applicazione, quando la scarsa qualità insediativa si associa alla carenza di servizi, grosse quantità del costruito possono generare altezze e densità troppo accentuate, producendo congestione, alienazione, segregazioni sociali con peggioramento delle condizioni di vita degli abitanti. Nei processi di ristrutturazione urbana, l’edilizia intensiva può sostituirsi selvaggiamente a parti di città contraddistinte da prodotti edilizi di tipo estensivo con rischio di ridurre drasticamente gli standard urbanistici, erodendo aree verdi residue e spazi aperti collettivi, dunque producendo degrado, diseconomia con conseguente decadenza del valore del costruito come architettura civile.

Edilizia intensiva: caratteri morfologici e tipologici

Al di là della loro evoluzione nel tempo e delle diverse articolazioni in aree geografiche disparate, i manufatti edilizi realizzati attraverso lo sfruttamento intenso dei suoli presentano volumi compatti, uniformi e continui, allineamento lungo il margine stradale, addensamento intorno a pochi e ristretti spazi aperti. Rispetto alla forma urbana, i caratteri tipologici dell’edilizia intensiva sono determinati dalla topografia, dalla specificità delle dinamiche economiche e culturali, dalla forma delle aree fabbricabili come esito della divisione della proprietà fondiaria e dal rapporto dei lotti con la maglia stradale.

Le costruzioni intensive possono essere isolate a blocco o lungo il perimetro del comparto, lineari o ad andamento mistilineo. L’isolato urbano tradizionale, inteso come la parte più piccola di città delimitata da strade, nei processi di trasformazione urbana che hanno investito le grandi città europee, ha determinato diverse modalità insediative riconducibili ai tempi di realizzazione e alle forme edificatorie. L’edilizia intensiva realizzata in brevi lassi temporali su lotti distinti da scarsa suddivisione della proprietà fondiaria, occupa le aree con blocchi seriali di natura compatta, risolti con soluzioni economiche ed elementari. Ma questa modalità insediativa, tanto più essenziale e ripetuta è la griglia urbana, quanto più si è estesa ad altre soluzioni producendo in determinati casi abnormi quantità di costruito, fino al caso estremo di fascinose e deliranti concentrazioni di tipi edilizi a tecnologia avanzata composte di un gran numero di piani, come il grattacielo delle down town.

In presenza di un regime proprietario più articolato e di processi di stratificazione edilizia nel tempo, tipici delle città storiche, il rapporto strada-isolato determina una maggiore varietà morfologica, riscontrabile nel blocco chiuso composito, diverso da quello unitario perché formato da manufatti di varia natura realizzati in tempi diversi che nel loro insieme, però, danno luogo a un’unità edilizia. In entrambi i casi, l’edilizia intensiva comporta il massimo sfruttamento del sedime dell’isolato chiudendolo alla città; i meccanismi speculativi che si sviluppano al suo interno escludono o riducono al minimo gli spazi destinati al verde e alla sosta, mentre i cortili sono sostituiti da chiostrine. Poiché i cortili sono fortemente limitati nella loro estensione, le forme degli intensivi afferenti a queste configurazioni corrispondono a schemi aperti, impostati su lotti rettangolari, affiancati o giustapposti, allineati lungo il fronte stradale o disposti in senso normale a questo, spesso riconnessi da edifici accessori più bassi che congiungono i diversi piani di facciata.

Alcune soluzioni, più raramente, prevedono forme mistilinee che si sviluppano senza interruzioni nel lotto accentuando la rendita fondiaria ma peggiorando l’orientamento più favorevole per gli edifici. La disposizione “a pettine”, con più corpi di fabbrica simili e paralleli che dipartono da un corpo di fabbrica di collegamento, consente di organizzare meglio l’esposizione dei fronti permettendo la presenza di corpi bassi anche a filo stradale, per collegare le testate degli edifici.

Esempi: la città antica e moderna

Nell’antica Roma è esemplare la diffusione del tipo dell’insula che raggiunse i 18 metri di altezza rappresentando bene l’edilizia intensiva dell’epoca imperiale. Parti di città erano composte per intero da edifici di questo genere, suddivisi in appartamenti da affittare, abitati in pessime condizioni igieniche. Scrive A. Rossi: “… l’insula quasi riassume la città nelle sue stesse divisioni e nella sua evoluzione; in essa vi è più mescolanza sociale di quanto comunemente si creda. Come nelle case costruite a Parigi dopo il 1850, vi è una differenziazione sociale in altezza. Le insulae, la cui costruzione è estremamente povera e temporanea, si rinnovano su se stesse; esse costituiscono il substrato urbano, la materia sulla quale si viene plasmando la città. Già sull’insula, quindi sulla residenza di massa, si esercita una delle forze più importanti della città: la speculazione. Il meccanismo della speculazione, applicato ai terreni residenziali, è uno dei momenti di crescita più caratteristici della città imperiale”.

Nelle città murate il tipo edilizio della casa a blocco alimenta un uso intensivo del suolo in virtù della sua vocazione commerciale al piano terreno che stabilisce un rapporto serrato fra la casa mercantile e la strada. Nell’alto Medioevo le città di fondazione romana sono frazionate e alterate nelle aree insistenti sull’impianto cardodecumanico, con densificazione del costruito caratterizzata da fronti edilizi continui e da presenza di edilizia intensiva con funzioni politiche, religiose e commerciali. Le “case a blocco in profondità” della città gotica presentano nei loro impianti rapporti dimensionali estremi per un tipo a schiera, pur di sfruttare intensamente i suoli mantenendo un rapporto privilegiato con la strada intesa anzitutto come luogo di lavoro.

La crescita in altezza è conseguente al progressivo aumento della densità urbana e alla maggiore affidabilità delle tecniche costruttive. Il tipo edilizio intensivo della città preindustriale è determinato dalla forma e dalla dimensione di isolati chiusi, risolti con tipologie a schiera e a blocco.

Dal XVIII secolo le aggregazioni diventano maggiormente complesse per la struttura più variabile dei lotti e per la necessità di individuare sistemi più vantaggiosi nel taglio della casa d’affitto. La casa di pigione nell’Ottocento costituisce lo strumento principale di rendita ai margini delle grandi città investite da massicci fenomeni d’immigrazione (le manzanas di Barcellona, i tenements di New York e in Scozia). Una delle forme più radicali di sfruttamento del suolo nelle grandi città centroeuropee sono le Mietkasernen, le costruzioni a blocco di Berlino, Amburgo e Vienna. Le “caserme d’affitto” produssero la sinistra definizione di “città caserma”, ancora oggi presente nel linguaggio popolare con il termine “casermone” per indicare un grande fabbricato di natura intensiva a uso abitativo, anonimo e massificante. Tali sono gli edifici residenziali berlinesi realizzati fra il 1853 e il 1887, secondo le prescrizioni del regolamento edilizio dello stato prussiano. Le caserme d’affitto potevano essere alte fino a 7 piani, presentare un affaccio su strada di 20 metri, una profondità del corpo di fabbrica senza finestre per 56 metri, cortili di dimensione minima intorno ai 28 m2, potendo ospitare fino a 650 persone. Benché povere ed economiche, ma non ai livelli di insalubrità degli slums inglesi, grazie alla casa d’affitto, le costruzioni intensive aprirono le porte alle avventure urbane per un’ingente quantità di abitanti, avviando un processo ineluttabile di trasformazione sociale con il passaggio definitivo dalla città borghese alla città di massa.

Per il disegno della speculazione, l’edilizia intensiva diviene una pratica di sfruttamento della rendita fondiaria ampiamente diffusa allorché rigidità e accomodamento dei regolamenti edilizi si accompagnano alla semplificazione insediativa nei processi di espansione urbana. Il piano di ampliamento di Barcellona di I. Cerdà (1859) ha le sue premesse in una politica fondiaria equa e nell’omogenea intensità d’uso dei suoli. Il determinismo meccanicista prodotto dalla modularità e il fattore atemporale dell’estendibilità sono i principi che strutturano la nuova “scacchiera” urbana e ingigantiscono in tempi rapidissimi la città. Ma la flessibilità ingegnosa e le innovazioni tipologiche contenute nel disegno dell’isolato di Cerdà cedono progressivamente il passo alle attese della rendita fondiaria: l’isolato aperto, costruito solo su due lati, si trasforma presto in isolato chiuso e sovraffollato mediante un processo inesorabile di densificazione, determinato da altezze e profondità del costruito sempre maggiori, edificazioni dei cortili fino a 5 metri di altezza, producendo, un secolo dopo, densità superiori ai 3.000 abitanti rispetto ai 250 previsti, con la necessità di avviare un programma di decongestione degli isolati.

Esempi: la città contemporanea

Le nuove fonti energetiche, lo sviluppo della mobilità, l’uso del cemento armato, le massicce migrazioni dalla campagna alla città, i nuovi assetti produttivi e del consumo, determinano nel XX° secolo un’enorme espansione quantitativa delle città nella quale l’edilizia intensiva destinata a usi abitativi riveste un ruolo centrale. Nei primi decenni del Novecento il dibattito sulla casa popolare anima le teorie urbanistiche con criteri nuovi di igiene urbana che tentano di contrapporsi al caos e alla desolazione prodotte dalla speculazione edilizia.

L’edilizia intensiva pianificata può divenire una determinazione funzionale e tipologica dotata di qualità spaziali e standard urbanistici adeguati. Mentre con il piano per Amsterdam sud di Berlage e le Hof viennesi si consumano le potenzialità dell’isolato lungo con grandi case a corte, in Germania l’immagine monumentale del grande organismo architettonico struttura il carattere della Grosstadt formata da tanti pezzi in sé compiuti e dalla tensione tra aree ed elementi. Negli studi sulla città funzionale e sviluppata in altezza di teorici come Le Corbusier e L. Hilberseimer, il tentativo di superare la grande dimensione ottocentesca esemplificata nella rue corridor si affida a “sistemi aperti” composti da elementi lineari con gran numero di piani, orientati secondo l’asse eliotermico, che succedono agli edifici intensivi a cortile chiuso. Con il Movimento Moderno le costruzioni multipiano, alternate a quelle estensive, diversificano forme e tipi e sanciscono la definitiva autonomia della strada dagli edifici.

Ma la netta divisione tra edilizia intensiva ed estensiva mette in crisi l’unità e la continuità urbana. Le applicazioni che tentano di mitigare questa dicotomia restano impostate su modelli in prevalenza continui e allineati su strada, con intreccio di forme e quantità diverse del costruito, come nei tessuti di espansione novecentesca prodotti dal PRG di Roma del 1931, ove le parti edilizie compatte di tipo intensivo a fronti continui sfruttano al massimo la redditività. Fra gli studi volti a superare lo zoning puntando sul gigantismo della scala dimensionale, nella macroforma del progetto di Le Crobusier per Algeri il plasticismo dei grandi contenitori si amplia alla scala del territorio anticipando la carica figurativa del concetto utopico di “megastruttura” (Metabolism, Archigram).

Nel campo della prefabbricazione e in alternativa all’intensivo multipiano, con Habitat 67 M. Safdie sperimenta un tipo “a grappolo” ad alta densità urbana in grado di recuperare domesticità della casa singola e qualità associativa dei centri minori. Ma nella seconda metà del ’900 i nuovi agglomerati ad alta densità realizzati nelle periferie europee sfruttano le nuove tecnologie costruttive ancora per lo più nel tipo monofunzionale dell’edificio multipiano. Al contrario l’esplosione delle megalopoli del terzo mondo si sviluppa con una forte verticalizzazione del centro e una crescita periferica orizzontale, spontanea e ad altissima densità, mentre in Asia si assiste a un ritmo vertiginoso della crescita urbana con demolizioni considerevoli e ricostruzioni in altezza, come a Pechino, dove ai bassi quartieri di hutong si sostituisce un’edilizia intensiva meramente quantitativa alla grande scala.

Nella produzione architettonica contemporanea, l’edilizia intensiva ricerca una vocazione civile nel disegno del paesaggio urbano mediante il gesto plastico e il montaggio concettuale. Il complesso KNSM-Eiland di H. Kollhoff (Amsterdam, 1994) recupera l’idea della grande forma nell’edilizia sociale legata alle immagini monumentali dell’espressionismo, l’edificio di dieci piani a “L” Kitagata (Gifu, 1998) di K. Sejima indaga il design di un corpo di fabbrica poco profondo modulato sulla combinazione di blocchi base costituiti da “stanze”. Teorie e opere prototipiche di R. Koolhaas, S. Holl e MVRDV mantengono vivo il dibattito sulla dialettica densità edilizia-grande dimensione al di là dell’ambiguità dello schema urbanistico.

Bibliografia

Gravagnuolo B., La progettazione urbana in Europa. 1750-1960: storia e teorie, Bari, 1997; Koolhaas R., Mau B., S,M,L,XL, O.M.A., Rotterdam, 1995; Piccinato L., La progettazione urbanistica, la città come organismo, Venezia, 1988; Rigotti G., Urbanistica, la composizione, Torino, 1973; Rossi A., L’architettura della città, Milano, 1978; Secchi B., La città del ventesimo secolo, Roma-Bari, 2005; Zucconi G., La città dell’Ottocento, Roma-Bari, 2001.

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