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Accessibilità (tecnologia)

Brescia, Piazzetta San Domenico, integrazione scala-rampa.
Brescia, Piazzetta San Domenico, integrazione scala-rampa.

Definizione ed evoluzione del termine

In senso generale, l’accessibilità esprime la capacità di un ambiente di garantire ad ogni persona, a prescindere dall’età, dal genere, dal retroterra culturale e dalle abilità fisiche, sensoriali e cognitive, una vita indipendente.
Attiene all’esercizio di diritti inviolabili della persona, quali le libertà di movimento e di autodeterminazione, ed è un indicatore privilegiato del livello di permeabilità e di inclusione sociale di una comunità.
In architettura, per accessibilità si intende “l’attitudine di luoghi, prodotti e servizi a essere identificabili, raggiungibili, comprensibili e fruibili autonomamente, in condizioni di comfort e di sicurezza, da parte di chiunque.”
La tematica, che riguarda il complesso degli interventi di trasformazione dell’habitat, è regolata nel nostro Paese da un corpo piuttosto consistente di norme tecniche (in particolare: D.M.LL.PP. 236/1989, relativo all’edilizia privata e residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata; D.P.R. 503/1996, relativo a edifici, spazi e servizi pubblici).
Il termine ha subíto nel tempo una profonda revisione per effetto, innanzitutto, dell’evoluzione del concetto di disabilità, cui è strettamente legato.
Se nel passato la disabilità era, infatti, considerata una condizione della persona, oggi è assunta come il risultato di una complessa interazione tra “persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di eguaglianza con gli altri” (Convenzione ONU sui Diritti delle persone disabili, 2006).
Inoltre, se in origine l’accessibilità era associata essenzialmente al soddisfacimento delle esigenze di mobilità delle persone su sedia a ruote, col tempo ha esteso il proprio campo di interesse anche alle esigenze percettive delle persone con minorazioni sensoriali o cognitive (comunicatività ambientale) fino ad essere riferita, oggi, alla generalità delle persone.
Tale apertura d’orizzonte ha condotto, gradualmente, al superamento dell’approccio progettuale basato sulle “soluzioni speciali”, cioè sulla realizzazione di ambienti ad accessibilità riservata e di attrezzature dedicate destinate a questo o a quel profilo d’utenza disabile e all’affermazione di specifiche metodologie progettuali (Design for All, Universal Design, Inclusive Design ecc.) che, con varietà di accenti, mirano a conseguire l’idoneità nell’uso di luoghi, prodotti e servizi per il più ampio spettro possibile di popolazione.
Parallelamente si è diffusa la consapevolezza che l’accessibilità non può essere più intesa riduttivamente come disciplina tecnico-normativa finalizzata all’eliminazione delle barriere architettoniche ma, prima di tutto, come grande valore collettivo, che informa, trasversalmente, tutte le politiche delle Amministrazioni pubbliche (strategia di mainstreaming), che esige la cooperazione tra tutti coloro che intervengono nei processi di trasformazione degli habitat (politici, personale delle amministrazioni pubbliche, progettisti, costruttori, abitanti ecc.) e che necessita di politiche spazio-temporali coerenti alle diverse scale (da quella di dettaglio a quella territoriale) e guidate da adeguati strumenti di programmazione degli interventi, come peraltro previsto dalla normativa vigente (L. 41/1986 e L. 104/1992).
D’altra parte, la letteratura scientifica evidenzia e l’esperienza comune conferma che habitat formalmente ‘a norma’, privi, cioè, delle barriere architettoniche contemplate dalla normativa, non sempre raggiungono un livello di accessibilità soddisfacente.
Il divario tra accessibilità legale e accessibilità effettiva dipende dal fatto che, in un ambiente dato, l’assenza di barriere architettoniche è condizione necessaria ma, di solito, non sufficiente per conseguire l’accessibilità. L’accessibilità, infatti, non si ottiene solo mediante l’eliminazione delle barriere architettoniche (o, nei nuovi interventi, nella loro assenza), ma grazie ad un progetto accurato che trae origine dal quadro delle esigenze da soddisfare. La progettazione accessibile, in pratica, non dovrà porsi solo come adeguamento normativo ma, piuttosto, come strategia di qualificazione ambientale. Ad esempio, un parco urbano per dirsi “accessibile” non solo deve essere privo di barriere architettoniche, ma deve prevedere sedute comode anche per le persone anziane, zone d’ombra, servizi igienici per bambini e per adulti, giochi idonei per tutti i bambini, elettroscooter per le persone che si muovono con difficoltà, colonnine SOS per i casi di emergenza ecc.

Gradi di accessibilità e strategie di intervento

Circa il giudizio di accessibilità di luoghi, prodotti e servizi occorre convenire che esso, in termini rigorosi, non potrà essere definito in senso assoluto ma solo come sintesi dei livelli di soddisfacimento (gradi di accessibilità) correlati ai diversi profili d’utenza considerati. Questo perché ogni profilo d’utenza ha specifiche esigenze e non è raro che uno scenario accessibile per un profilo d’utenza non lo sia, o lo sia solo parzialmente, per un altro. Tale sintesi, d’altra parte, sarà transitoria ed incerta per effetto delle continue trasformazioni che interessano gli habitat umani e per la costante evoluzione che riguarda la disciplina.

Analogamente, nei progetti di riqualificazione è difficile che si consegua la piena accessibilità per tutti, ma, più che altro, un innalzamento dei gradi di accessibilità i quali potranno essere valutati mediante l’analisi ponderata di una serie di fattori assunti come riferimento quali la qualità del progetto, la raggiungibilità del manufatto, le risorse economiche disponibili, la qualità gestionale, la capacità di carico del manufatto (ovvero la sua attitudine di sostenere, senza snaturarsi, gli interventi di necessari) ecc.

Le strategie di intervento per conseguire l’accessibilità ambientale possono distinguersi in materiali ed immateriali.
Le prime attengono ad interventi sulla fisicità dell’ambiente e si esprimono, nella forma più avanzata, mediante progetti sapienti capaci di armonizzare, dal punto di vista funzionale, estetico e simbolico, le diverse esigenze, da acquisire, preferibilmente, mediante il coinvolgimento diretto dei portatori d’interessi.
Talvolta la soluzione tecnica specialistica viene celata o elaborata creativamente in modo da ‘allontanarla’ semanticamente dalle ragioni che l’hanno motivata – il superamento delle barriere architettoniche – e dagli utenti che dovrebbero trarne particolare beneficio – le persone disabili – (approccio mimetico).
In altre circostanze, il sistema di vincoli posto dal contesto di intervento o specifiche motivazioni conducono il progettista a ricorrere ad ‘addizioni’ – permanenti o transitorie – che integrano il manufatto di parti e/o dispositivi per soddisfare specifiche esigenze (approccio protesico).
In tutti i casi è indispensabile che il progetto sia ispirato dalla cultura dell’accessibilità sin dalle fasi istruttorie per scongiurare interventi posticci o disorganici.
A livello urbano e territoriale un ruolo essenziale per risolvere i problemi della raggiungibilità di alcuni siti (si pensi ai numerosissimi centri collinari e montuosi del nostro Paese) o della mobilità nelle aree di grandi dimensioni (aeroporti, aree fieristiche, parchi urbani, centri storici, ecc.) (barriere urbanistiche) è svolto dal sistema integrato dei trasporti.
Le strategie d’intervento ‘immateriali’ sono basate sull’informazione (es. guide all’uso delle città consultabili via web), e sono finalizzati ad evitare la mobilità non necessaria e a consentire ad ogni persona, in base alle proprie capacità, di scegliere tempi e modalità dell’interazione ambientale.

Bibliografia

Laurìa A. (a cura), I Piani per l’Accessibilità. Una sfida per promuovere l’autonomia dei cittadini e valorizzare i luoghi dell’abitare, Roma, 2012; Laurìa A. (a cura), Persone “reali” e progettazione dell’ambiente costruito L’accessibilità come risorsa per la qualità ambientale, Rimini, 2003; UNITED NATIONS, Convention on the Right of Persons with Disabilities, 2006.

 

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