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New town

Milton Keynes presso Londra (Regno Unito), veduta aerea.
Milton Keynes presso Londra (Regno Unito), veduta aerea.

Definizione – Etimologia

Termine inglese tradotto letteralmente con “nuova città”. Così sono state chiamate “le città nuove” concepite intorno agli anni Quaranta all’interno della politica nazionale di pianificazione territoriale inglese. Per esteso il termine è usato per definire ogni città derivante da un’iniziativa di sviluppo urbano riferita a tempi delimitati con una pianificazione, progettazione e attuazione ben definita.

Derivazione del processo formativo

Il concetto di città nuova si può far risalire alla fine del XIX secolo quando Ebenezer Howard (1850-1928) propose in Inghilterra la realizzazione delle garden cities (città giardino) che dovevano coniugare i vantaggi dell’effetto urbano e i benefici di quello rurale. Lo stesso Howard nel 1902 inizierà la realizzazione di Letchworth, 60 chilometri a nord di Londra. Le new towns inglesi riprendono il pensiero di Howard e il loro piano poggia, in particolare, su due principi:

  1. una rigorosa zonizzazione, in grado di garantire la netta separazione fra la zona centrale delle attività e le zone residenziali, da quelle industriali;
  2. il raggruppamento in unità residenziali da 5000 a 10000 abitanti con servizi propri e un centro secondario, separate tra loro e dalle altre zone da ampi spazi verdi.

Il processo che portò alla realizzazione delle new towns ebbe inizio nel 1937 quando una commissione presieduta da Sir Montague Barlow fu incaricata di studiare la distribuzione della popolazione industriale inglese e di proporre soluzioni per l’eccessiva concentrazione urbana ed economica. La Seconda Guerra Mondiale impedì, sul momento, l’applicazione delle linee guida tracciate dalla commissione Barlow; il piano Abercrombie volto a decongestionare l’agglomerato londinese, ne riprese però i contenuti e le linee guida.
Nel 1946 fu incaricata la nuova commissione Reith che raccomandava la progettazione e l’inserimento nello schema planimetrico della città di una green belt e all’esterno una corona di nuove città per la cui realizzazione il governo inglese varò il New Town Act: questo prevedeva un finanziamento speciale e definiva una Development Corporation ovvero un’autorità incaricata di concepire e realizzare ogni nuova città. Le indicazioni della nuova commissione riguardo la natura, la localizzazione e l’importanza delle new towns sono molto precise: il piano regolatore dovrà indicare i servizi principali e le aree rispettive di ciascuna zona (residenza, commercio, scuole) e avrà attuazione immediata. La sola modifica ai piani originari fu la previsione di nuovi quartieri in periferia e l’espansione del centro. La zona industriale doveva essere vicino alla stazione ferroviaria e raggiungibile in bicicletta dalle zone residenziali, ma studiata in modo tale che i venti dominanti non portassero inquinamento nelle aree residenziali.
L’esperienza inglese si può definire riuscita in particolare dal punto di vista amministrativo per la semplicità della formula applicata con la creazione della Development Corporation, e da quello finanziario con prestiti a lungo termine a interessi favorevoli con ammortamento differito. I punti deboli riguardano piuttosto la tendenza a considerare primaria l’occupazione industriale e la scala scelta che ha portato alla creazione di città troppo piccole per lo sviluppo di un terziario importante con il conseguente parziale fallimento di una razionalizzazione della pressione demografica. L’esperienza inglese rimane il punto di partenza per le sperimentazioni, con declinazioni progettuali e tecniche differenti, negli altri paesi.
Il Piano del 1952 per la Grande Stoccolma prevedeva la creazione di città satelliti (Vallingby, Farsta) lungo le linee della rete metropolitana in costruzione, composte da unità residenziali da 20.000 a 100.000 abitanti raggruppate attorno alle stazioni, secondo la regola del tempo di percorrenza max di 45 minuti tra città satellite e polo; il piano stabiliva un modello teorico di quartiere residenziale, da applicare alle città satellite. In generale le new towns scandinave si sviluppano non come agglomerazioni urbane autonome, i loro centri sono prevalentemente di consumo e le zone di lavoro molto ridotte. È invece molto importante la presenza della natura e l’attenzione a un paesaggio piacevole e vario. Le piccole dimensioni e la stretta dipendenza dall’agglomerato di cui sono satelliti rende le new towns scandinave assimilabili più a nuovi quartieri che alla tipologia originaria delle new towns.
In Francia il processo che porterà alle new towns parte dalla necessità di alloggi generatosi nell’immediato dopoguerra quando la crisi economica e il blocco degli affitti avevano portato a un periodo di arresto delle attività edilizie; la liberazione, l’esodo dalle campagne e il progressivo aumento della natalità avevano generato una sempre maggiore richiesta di alloggi. Le new towns sono concepite all’interno degli strumenti urbanistici a scala regionale: sono previste cinque città nella regione parigina e quattro di provincia previste negli strumenti regionali di Lione, Marsiglia, Rouen e Lille. Nel 1965 lo schema regolatore generale territoriale e urbano della regione di Parigi si prefigge di superare il monocentrismo creando nuovi centri urbani, canalizzando l’espansione di Parigi lungo assi preferenziali di urbanizzazione che consentano la pianificazione dei servizi e di zone ricreative. In generale per la scelta degli assi si è cercato di preservare i grandi boschi e di utilizzare zone che fossero già servite da strade o linee ferroviarie, come la Bassa Senna e la zona della Marna: su questi assi nascono alcune new towns. La progettazione delle new towns francesi mirata anche alla ristrutturazione delle periferie e a sviluppare agglomerazioni creando polarità, obiettivi previsti dal Programme finalisé des villes nouvelles elaborato nel 1971, ha posto particolare attenzione alla localizzazione delle future aree, al corretto dimensionamento rispetto alla domanda di abitazione, al decentramento delle attività produttive, alla realizzazione di una rete di trasporto integrata. Inoltre sono stati valorizzati i luoghi, il paesaggio, la continuità fra le zone e si è mirato a un equilibrio tra popolazione residente e impiego seppure non in modo coercitivo come per le new towns inglesi dove l’occupazione era necessaria per avere l’alloggio.
Il filo conduttore che lega l’esperienza delle new towns inglesi, svedesi e francesi e, in generale, dell’esperienza europea è costituito dall’inserimento della costruzione dei nuovi insediamenti nell’ambito degli strumenti urbanistici come risposta alla crescita smisurata di un solo agglomerato urbano in cui si concentrano eccessivamente le attività a detrimento del resto del territorio.
Nell’Europa dell’est le new towns rispondono all’esigenza di creare poli industriali in prossimità delle materie prime e di assicurare equilibrio nello sviluppo economico del paese. Il principio di azzonamento diventa fondamentale per le new towns: vengono pensate in relazione alle attività industriali svolte e con una forte presenza di zone verdi a delimitazione delle diverse aree. Nell’ex Unione Sovietica la costruzione delle new towns si può far risalire a due momenti: al piano generale di Mosca del 1935 che prevede la costruzione di due città satellite come Khimky e Krasnojarsk e al secondo dopoguerra con la costruzione di numerose città satellite, come nel caso delle 20 new towns previste nello Schema Regionale di Mosca (1956); in relazione all’offerta di lavoro presente nelle new towns è possibile individuare il grado di dipendenza dal centro principale: insediamenti indipendenti, città residenziali e forme intermedie con un’autonomia parziale.
Negli USA a partire dagli anni Sessanta si possono riconoscere due tipi di new towns:

  1. new towns costruite dai private developer, ovvero insediamenti pianificati autosufficienti rivolti alle classi medio-alte, con un’offerta base di circa diecimila alloggi e una qualità di vita superiore a quella presente nelle aree periferiche alle città;
  2. new towns inserite nel programma federale della New Communities Legislation del 1973 (Jonathan, Park Forest South ecc.) con lo scopo di promuovere lo sviluppo regionale attraverso incentivi al decentramento urbano volti alla creazione di insediamenti indipendenti economicamente, con un’offerta varia di tipologie edilizie e di posti di lavoro.

In Giappone la realizzazione delle new towns avviene a partire dal 1963 (emanazione della legge per lo sviluppo residenziale); si tratta di insediamenti localizzati nelle parti estreme delle grandi aree metropolitane e variano dai 18.000 abitanti di Isamayo ai 400.000 di Tama (Tokyo). In Cina è possibile riconoscere una prima fase, verso la fine degli anni Sessanta, con la costruzione di circa 60 città satelliti della città di Shangai, costruite secondo il modello sovietico e rispondenti a esigenze di carattere industriale; e una seconda fase legata al programma One City and Nine Towns con la costruzione di nove nuovi insediamenti previsti per il 2010. Esempi di new towns degli anni Sessanta e Settanta si hanno anche a Hong Kong.

Tipologie ed esempi

Considerando il termine new town nella sua accezione più ampia legata alla città nuova e quindi includendo anche le esperienze delle città di fondazione è bene sottolineare che la ricerca più recente tende a individuare, all’interno dell’incessante attività di fondazione di nuovi insediamenti che ha caratterizzato il Novecento, alcune “famiglie di città” in relazione alla ragione/motivazione di fondazione fornendo così lo spunto per una rilettura e sistematizzazione di un probabile archivio delle città nuove. Di seguito le suddette “famiglie di città” con la relativa indicazione di alcune realizzazioni:

  • colonizzazione – Abidjan e Odienne in Costa d’Avorio, Kayes in Mali, Jos, Kaduna in Nigeria, Ankazobè e Fianarantsoa in Madagascar, Kénitra Khouribga in Marocco, Lumumbashi e Kinshasa nello Zaire, Gimma, Gonde, Dessiè in Etiopia, Asmara in Eritrea ecc.;
  • nuove capitali  Chandigarh e Delhi in India, Canberra in Australia, Brasilia e Goiania in Brasile, Belmopan nel Belize, N’Djamena nel Ciad, Kinshasa nello Zaire, Zomba nel Malawi, Lusaka nello Zambia, Niamey nel Niger, Nouakchott in Mauritania, Gaborone nel Botswana, Dodoma in Tanzania, Abuja in Nigeria ecc.;
  • città per il commercio e le comunicazioni – Port-Fouad in Egitto, Pointe-Noire in Congo, S. Pedro in Costa d’Avorio, Murmansk e Novyy Port in Unione Sovietica, Gydnia in Polonia,Al-Jubayl e Yanbu al-Bahr in Arabia Saudita, Alma-Alta nel Kazakistan ecc.;
  • presidio del territorio nazionale – Bratsk, Ekaterinburg, Kemerovo, Nabereznyje Celny, Togliatti in Russia, Afula, Ashdod, Beer Sheva, Elat in Israele, Sadat City, Al Ammal, Al-Badr City, New Ameriyah, Al Obour in Egitto, Lelystad e Almere in Olanda, Littoria, Aprilia, Sabaudia e Pomezia in Italia ecc.;
  • modernizzazione industriale – Salzgitter, Wolfsburg, Meckenheim, Sennestadt, Marl in Germania, Durgapur, Rourkela, Bhilai in India, Nowe Tichy, Nowa Huta in Polonia, Dunaujavaros in Ungheria, Halle-Neustadt nell’ex Repubblica democratica tedesca, Ciudad Guayana, El Tablazo, Tuy Medio in Venezuela ecc.;
  • controllo della crescita metropolitana (Stevenage, Milton Keynes, Runcorn, Cumbernauld, Central Lancashire in Gran Bretagna, Kruykovo e Zelenograd in Russia, Redwood Shores, Irvine, Columbia, Reston negli USA, Vallingby, Sodra Jarvafaltet, Norra Jarvafaltet, Farsta e Skarholmen in Svezia, Senri, Senboku, Koziji in Giappone, l’Isle-d’Abeau, Rives de L’Etang de Berre, Val-de-Reuil, Evry, Senart in Francia, Baharestan, Majlessi, Poulad Shahr in Iran, Manali, Kona, New Okhla, Mohali, New Bombay in India, Bungang, Jungdong, Pyungchon in Corea del Sud, ecc.;
  • centri per la ricerca scientifica e tecnologica – Dimona in Israele, Akademgorodok in Unione Sovietica, Louvain-la-Neuve in Belgio, Cergy-Pontoise e Marne-la-Vallèe nella regione parigina ecc.

Accezione moderna del termine

Una coscienza ecologica e la sempre maggiore attenzione verso uno stile di vita rispettoso dell’ambiente hanno portato alla progettazione di città a emissioni zero. In Gran Bretagna il governo inglese intende realizzare, entro il 2020, 10 città zero-carbon in cui verranno utilizzate energie rinnovabili. Nel 2008 è iniziata la costruzione di due eco-città: Dongtan, su un’area di 8.600 ha in un’isola vicino a Shanghai (Cina) e Masdar City, su un’area di 600 ha di deserto a Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti). Le due eco-town mirano emissioni zero di gas serra, escludono l’uso dei veicoli a benzina all’interno del proprio perimetro, utilizzano sistemi costruttivi e tecnologici energeticamente sostenibili, piani di riduzione degli sprechi, energie da fonti rinnovabili, sistemi di raccolta differenziata, riciclaggio e produzione di energia pulita. A Dongtan è l’acqua a dare forma alla città, progettata secondo uno schema a villaggi compatti.
Nel piano di Masdar (Foster & Partners), dimensionato per una popolazione di 47.500 abitanti nel 2020, circa il 30% dello spazio è urbano destinato ad abitazioni e un quarto per aree economiche volte ad attrarre organizzazioni internazionali di ricerca nell’ambito della gestione idrica e riciclaggio, trasporti e infrastrutture, edilizia industriale, energia. Il collegamento con le infrastrutture di trasporto di Abu Dhabi avverrà attraverso una metropolitana leggera verso il centro, l’aeroporto, il nuovo insediamento della spiaggia di Al Raha. Fuori dalle mura della città circa 100 ha saranno destinati alla produzione di energia, centri ricerca, piantagioni di alberi, spazi ludici e per il tempo libero, centro riciclaggio, impianti di depurazione e desalinizzazione delle acque. Metà dell’energia sarà fornita da tecnologie fotovoltaiche, come tradizionali pannelli solari, impianti integrati negli edifici, energia termica solare concentrata con l’uso di specchi e altra elettricità sarà fornita da grosse turbine a vento e dalla conversione dei rifiuti solidi urbani in biomasse; pompe di calore dal terreno utilizzeranno il fresco sotterraneo per abbassare le temperature degli edifici.
Masdar e Dongtan, rappresentano due proposte su grande scala della declinazione sperimentale contemporanea più innovatrice. Negli anni ’70 P. Soleri inizia la costruzione di Arcosanti nel deserto dell’Arizona: una città senza auto basata sull’energia solare, orti biologici, materiali costruttivi naturali.

Bibliografia

Choay F., L’urbanisme. Utopie set realites, Paris, 1965; Corden C., Planned Cities. New towns in Britain and America, Beverly Hills-London, 1977; Galantay E., New Towns: Antiquity to the Present, New York, 1975; Lavedan P., Histoire de l’Urbanisme. Epoque contemporaine, Paris, 1952; Merlin P., Le città nuove, Bari 1971; Mittner D., Le città di fondazione, Roma, 2003.

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