Definizione – Etimologia
Dal greco anamòrphosis, forma analoga. Deformazione di un’immagine piana, ottenuta con proiezioni, riflessioni o modificazioni prodotte tramite costruzioni geometriche, che conservi una sia pur approssimativa comprensibilità e che possa tornare a essere percepita correttamente se osservata in modo da annullare gli effetti deformanti, quindi di scorcio o attraverso specchi in grado di ricomporre l’immagine corretta attraverso deformazioni contrarie.
Generalità
Anche deformazione di oggetti tridimensionali, significativamente di architetture o parti di esse, le cui alterazioni metriche scompaiono secondo particolari angoli di osservazione. Sono anche anamorfosi, più spesso dette deformazioni anamorfiche o marginali o aberrazioni marginali, le porzioni periferiche di un’immagine prospettica che risultano percettivamente alterate nelle misure e che riassumono la giusta apparenza, solo se osservate dal corretto centro di proiezione.
Teorizzata già da Leonardo nel Codice Atlantico e da D. Barbaro in La pratica della perspettiva, la sua spettacolarità fu ricercata, soprattutto nell’architectura picta, in condizioni di particolare scorcio prospettico, ma anche nella pittura e nell’illustrazione in genere, dove erano apprezzati i suoi effetti illusori o bizzarri, capaci di produrre sorpresa all’atto del disvelamento. Il successo popolare delle anamorfosi ebbe il suo massimo sviluppo nei secoli XVI e XVII, quando furono apprezzate come raffinata curiosità scientifica.
Sull’anamorfosi sono basati alcuni esperimenti di psicologia della percezione (psicologia della forma) condotti da A. Ames e R. Penrose, volti a illustrare il ruolo dell’esperienza nei processi cognitivi.
Bibliografia
Baltrusaitis J., Anamorfosi o Thaumaturgus opticus, Milano, 1978.